In questo scritto si propone una prima riflessione sulla riforma costituzionale attualmente in discussione. L’intento è quello di dar conto di un lavoro in progress, che si sviluppa per mezzo del ruolo giocato nel relativo procedimento dalle istituzioni fin qui coinvolte, ossia il Governo proponente, il Senato e la Camera dei deputati. Con ciò si spera non solo di contribuire al dibattito sulle riforme mentre è ancora in corso, ma anche di provare ad illustrare la direzione nella quale spingono le posizioni assunte da ciascuno degli attori nelle dinamiche del processo in itinere. In questa analisi si farà ovviamente riferimento, innanzi tutto, al documento più recente, ossia il testo esitato lo scorso 13 dicembre dalla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati. Si terrà conto, tuttavia, anche del testo approvato dal Senato in agosto e di quello originariamente presentato dal Governo in data 8 aprile 2014, nonché delle dichiarazioni contenute nella relativa Relazione di accompagnamento. Non è infatti di scarso interesse prendere in considerazione le finalità della riforma, almeno come vengono esplicitate dai suoi proponenti, non solo quale ausilio interpretativo nella lettura di alcuni punti nevralgici di quest’ultimo, ma anche per valutare la rappresentazione che del proprio intervento riformatore il Governo ritiene di proporre all’esterno, nonché la effettiva coerenza del secondo rispetto alla prima. A questo ultimo riguardo, anticipando sinteticamente una conclusione che più avanti si tenterà di sostenere con adeguati argomenti, è possibile dire che il testo proposto dal Governo sembrava notevolmente distonico rispetto alle finalità ed ai principi ispiratori della riforma, almeno così come solennemente enunciati nella Relazione di accompagnamento. In particolare, alla manifestazione dell’intento di valorizzazione e approfondimento dell’autonomia – pur in un contesto di complessiva riorganizzazione dell’assetto delle relazioni tra Stato ed altri enti territoriali – nonché alla dichiarata finalità di ottenere un maggior grado di condivisione sistemica delle politiche pubbliche, individuando anche spazi di autentica codecisione tra centro e periferie, faceva da contraltare un testo che a malapena nascondeva una forte recrudescenza centralista, tale in definitiva da rappresentare – con la significativa eccezione della “riforma tentata” del 2005 – una assoluta novità nella storia costituzionale dell’ordinamento repubblicano, che è stata invece a lungo caratterizzata da una progressiva valorizzazione delle ragioni dell’autonomia territoriale e della collaborazione tra i livelli di governo, almeno fino al deflagrare della crisi economica nei tempi recenti. Solo le modifiche apportate dal Senato al testo proposto dal Governo – peraltro non osteggiate da quest’ultimo – hanno ridotto, anche se non eliminato, la stridente dissonanza con la Relazione di accompagnamento al ddl, mentre il recente esame in Commissione a Montecitorio ha sostanzialmente confermato l’articolato proveniente da Palazzo Madama, limitandosi a migliorarlo in alcuni punti specifici. Per chi ritiene che anche oggi, sotto il vento battente della crisi economica, perdurino ragioni per valorizzare le autonomie territoriali nel nostro sistema istituzionale, ed anzi, come dice la Relazione, per inserirle stabilmente nelle sedi in cui si elaborano le scelte politiche nazionali, gli interventi operati dal Senato sul testo governativo sono dunque da ritenere senz’altro positivi. Come si proverà a mostrare, però, non certo sufficienti. Un’ultima precisazione appare opportuna prima di entrare in medias res. Gli importanti interventi che la riforma intende realizzare nel sistema istituzionale italiano sono volti ad operare soprattutto su tre differenti fronti: a) la composizione del Senato; b) le funzioni del Senato, in particolare nei procedimenti legislativi; c) il sistema di riparto delle funzioni legislative tra Stato e Regioni. Per quanto ciascuno di questi ambiti possa essere sottoposto ad analisisingolarmente, cercando di mettere in luce le novità che il ddl costituzionale è volto ad introdurre e le loro possibili implicazioni sugli specifici settori di volta in volta interessati, appare piuttosto evidente che una valutazione degli effetti che la riforma in itinereappare destinata ad avere sul nostro sistema delle autonomie territoriali può derivare soltanto da una valutazione complessiva e congiunta dei tre “pilastri” sopra accennati... (segue)
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