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di Marcello Cecchetti
Attualità e prospettive della 'specialità' regionale alla luce del 'regionalismo differenziato' come principio di sistema
La questione dell’autonomia delle cinque Regioni speciali e delle due Province autonome di Trento e di Bolzano, del suo significato, del suo valore, dei suoi limiti e delle sue potenzialità non è affatto un problema nuovo o scarsamente dibattuto. Da qualche decennio, ormai, in una vastissima letteratura, in larga parte assai nota, la dottrina giuspubblicistica si interroga circa la perdurante attualità delle ragioni che portarono i costituenti ad approvare l’art. 116 della Carta costituzionale, l’emersione di eventuali nuove finalità od obiettivi della specialità, il senso delle sempre più esigue (talora persino stravolte, rispetto al disegno originario) «forme e condizioni particolari di autonomia», i possibili rimedi al perverso fenomeno della “specialità a rovescio” e alla continua “rincorsa” delle autonomie speciali nei confronti delle Regioni c.d. “di diritto comune”.
Tuttavia, di fronte alle radicali novità della riforma costituzionale del Titolo V e, soprattutto, nella fase attuale caratterizzata dal tentativo di provvedere finalmente alla concreta attuazione delle norme contenute nell’art. 119 Cost. attraverso il c.d. “federalismo fiscale”, il problema delle Regioni speciali sembra fuoriuscire (finalmente!) dall’angusta prospettiva di una riflessione concernente la particolare condizione autonomistica di specifiche aree periferiche del Paese, per assurgere a vera e propria questione ordinamentale in grado di produrre effetti sull’intero sistema delle autonomie territoriali, con implicazioni evidenti sulla ricostruzione del modello complessivo della forma di stato.
Il modello di regionalismo sperimentato fino ad oggi, come è noto, è sempre risultato fondato sulla dicotomia netta fra “regionalismo dell’uniformità” da una parte e “regionalismo della specialità” dall’altra
. L’ipotesi che si intende prospettare nei paragrafi che seguono − seppure ancora ad uno stadio embrionale di riflessione limitato a prefigurare le linee di sviluppo di un più approfondito lavoro di ricerca − è quella secondo la quale questo modello è ormai irreversibilmente destinato ad essere superato da un nuovo modello definibile come “regionalismo della differenziazione” e fondato non più su una dicotomia (che richiama logiche di tipo contrappositivo) quanto su un nuovo binomio necessario e inscindibile: il “diritto comune” e i “diritti differenziati”. Si tratta, come è evidente, di una prospettiva di medio-lungo periodo, da sottoporre ad attenta e meditata verifica e senza dubbio ancora lontana da adeguata percezione e da condivisione diffusa, prima di tutto su un piano “culturale”.
(segue)
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