Secondo la Corte costituzionale, la Carta fondamentale colloca il Presidente della Repubblica – e le relative attribuzioni costituzionali – «al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato e, naturalmente, al di sopra di tutte le parti politiche»; ciò posto, il suo ruolo super partes lo rende conseguentemente estraneo all’ordinaria conflittualità politica, sia privandolo della titolarità di un preciso indirizzo ideologico, sia – gioco forza – negando che le sue relative attribuzioni possano essere in qualche modo funzionali ad attivare un indirizzo politico presidenziale: difatti, le funzioni del Presidente, «non implicano il potere di adottare decisioni nel merito di specifiche materie, ma danno allo stesso gli strumenti per indurre gli altri poteri costituzionali a svolgere correttamente le proprie funzioni […] senza mai sostituirsi a questi…». Usando una espressione già cara al Presidente della “Commissione per la Costituzione”, Meuccio Ruini, la Corte precisa dunque che il Capo dello Stato svolge il suo ruolo incarnando una «“magistratura di influenza”»: tale qualità, non può prescindere dalla necessità di «tessere costantemente una rete di raccordi allo scopo di armonizzare le eventuali posizioni in conflitto ed asprezze polemiche», indicando «ai vari titolari di organi costituzionali i principi in base ai quali possono e devono essere ricercate soluzioni il più possibile condivise dei diversi problemi che via via si pongono»; una funzione, quella descritta, ai fini della quale è «indispensabile che il Presidente affianchi continuamente ai propri poteri formali, che si estrinsecano nell’emanazione di atti determinati e puntuali […] un uso discreto di quello che è stato definito il “potere di persuasione”, essenzialmente composto di attività informali… (segue)
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