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NUMERO 24 - 24/12/2014

 La clausola di omogeneità dell’UE: connotazione costituzionale o internazionale? Riflessioni da un’analisi comparata

L’inserzione, ad opera del Trattato di Amsterdam, del meccanismo oggi disciplinato all’art. 7 TUE nella versione del trattato di Lisbona ha, secondo molti osservatori, una motivazione storica contingente rappresentata dalla prospettiva dell’allargamento dell’UE ai Paesi del centro e dell’Est Europa. Come è noto, stante la passata esperienza di forma di stato socialista di tali regimi, si rendeva necessario condizionarne l’adesione ai Trattati istitutivi delle Comunità e dell’Unione al rispetto di una serie di parametri relativi alla tutela dei diritti umani e dei principi dello stato di diritto. Lo sviluppo di questa forma di condizionalità, per così dire esterna, che ha il suo inizio nella decisione del Consiglio Europeo di Copenaghen del 1993 e nei correlati criteri, venne ad essere affiancata da uno strumento, l’art. 7 TUE appunto, che garantiva ai vecchi Stati membri dell’UE una qualche forma di garanzia contro l’eventualità che gli Stati di nuova adesione non mantenessero successivamente le obbligazioni assunte relativamente ai principi dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Si introdusse così l’art. 7 TUE (da parte del Trattato di Amsterdam) che, in collegamento con l’allora art. 6, par. 2 TUE (della medesima fonte ), enunciante i valori fondativi dell’UE, poneva in capo all’istituzione politica del Consiglio, riunito nella composizione dei Capi di Stato e di Governo, il compito di deliberare all’unanimità, su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione e previo parere conforme del Parlamento Europeo, la constatazione che uno Stato membro dell’UE avesse violato in modo grave e persistente i valori democratici dell’UE, spettando poi al Consiglio, nella formazione ordinaria, individuare a maggioranza qualificata le eventuali correlate sanzioni inerenti i diritti di partecipazione dello Stato in questione all’UE. E’ noto che per uno dei tanti paradossi di cui è costellata la storia il primo caso in cui si è concretamente discusso della potenziale applicazione dell’art. 7 TUE ha riguardato non già un Paese del centro-Est Europa ma uno Stato di più consolidata tradizione democratica,  quale l’Austria, peraltro tra i più fermi sostenitori dell’introduzione nel Trattato di Amsterdam di tale clausola. La formazione nell’anno 2000 di un nuovo governo di coalizione comprendente al suo interno esponenti del partito liberale austriaco, considerato antidemocratico e post-nazista, determinò la reazione politica degli allora 14 Stati membri dell’UE, i quali, tuttavia, si decisero ad agire sul piano internazionale, riducendo le relazioni diplomatiche bilaterali tra i loro governi e il governo austriaco. Benché tali misure si collocassero al di fuori dell’ordinamento dell’UE, la loro applicazione è stata letta come una sorta di preavvertimento all’Austria in merito ad una futura ed eventuale applicazione dell’art. 7 TUE. Successivamente, i 14 governi degli Stati membri, tramite il presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, affidarono a un comitato di tre “saggi” il compito di valutare la conformità dell’ordinamento austriaco ai valori di cui all’art. 6 TUE e alla tutela delle minoranze. Tale comitato ritenne che non vi fossero elementi concreti per ritenere che l’Austria fosse venuta meno ai suoi doveri discendenti dall’art. 6 TUE. A seguito di ciò, le misure contro l’Austria vennero revocate. La vicenda austriaca e il suo esito hanno segnato per così dire il congelamento delle virtualità applicative dell’articolo 7 TUE. In tempi più recenti il dibattito relativo all’applicazione del rimedio di cui all’art. 7 TUE si è andato nuovamente sviluppando. L’adozione della nuova Costituzione ungherese, dagli spiccati accenti nazionalistici, nonché di una serie di leggi rinforzate ritenute incidere su aspetti nevralgici della vita democratica del Paese, le espulsioni collettive di cittadini rumeni e bulgari di etnia Rom dal territorio francese, i respingimenti in mare da parte dell’Italia hanno spinto esponenti della società civile, accademici e talora soggetti istituzionali a chiedere, invano, l’attivazione dello strumento in esame... (segue)



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