Il recente tentativo di riforma costituzionale ha proposto alcuni temi che, rimasti invero, nel dibattito che lo ha accompagnato, più in ombra di altri, necessitano di essere riproposti. Il tema delle infrastrutture è indubbiamente tra quelli che, a seguito dell'esito negativo del referendum sulla riforma costituzionale, deve essere ripreso. é dalla realizzazione di “buone” infrastrutture, infatti, che può derivare un aiuto, particolarmente importante nell'attuale momento di crisi, alla ripresa economica e alla crescita del Paese. Il tema è complesso e necessita di essere esaminato con uno sguardo attento ai profili evolutivi della materia, di per sé caratterizzata da una naturale storicità; muovendo, quindi, dall'analisi dell'evoluzione della collocazione costituzionale della materia, per verificarne le attuali criticità in vista di una sua ulteriore revisione. Trattare del tema delle infrastrutture con riguardo al profilo dell'allocazione delle competenze in materia è compito non agevole, che si presenta addirittura come un rompicapo. Rompicapo determinato, per un verso, dalla materia in sé, ontologicamente trasversale, in quanto coinvolgente una pluralità di interessi giuridicamente rilevanti e rientranti in diverse “materie”, secondo il criterio per la ripartizione delle competenze adottato dal nostro ordinamento. Rompicapo che, per altro verso, trae l'origine della sua complessità dalla non univocità delle definizioni costituzionali relative agli ambiti di competenza; difficoltà che la riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione, intervenuta nel 2001, lungi dal risolvere, ha ulteriormente accentuato, determinando, a cascata, una sovrapposizione di soluzioni, legislative e giurisprudenziali, di attuazione costituzionale, certamente nociva ad un settore così centrale e addirittura strategico, nell'attuale tempo di crisi. Nel testo originario della Costituzione del 1948, infatti, caratterizzato, come noto, dall'attribuzione generale delle competenze legislative allo Stato, salvo la competenza concorrente Stato/Regioni con riferimento ad una serie limitata di materie identificata dall'art. 117, secondo comma, Cost., l'unico riferimento al tema delle infrastrutture era quello contenuto appunto in tale disposizione, laddove attribuiva alla competenza legislativa concorrente la materia “viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale”. La materia “infrastrutture” in genere, dunque, ad esclusione della sotto-materia cosi identificata dal secondo comma, spettava, secondo il criterio di residualità come allora inteso, alla competenza legislativa dello Stato (infra, par. 2). Tale assetto è stato completamente rivoluzionato dalla riforma costituzionale intervenuta nel 2001. Nell'attuale testo costituzionale, gli unici riferimenti alla materia “infrastrutture” sono quelli contenuti nell'art. 117, terzo comma, Cost., che affida alla competenza legislativa concorrente Stato/Regioni le materie “grandi reti di trasporto e navigazione”, “porti e aeroporti civili”, “impianti di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”. Avendo, come noto, la riforma del Titolo V del 2001 ribaltato il criterio di attribuzione delle competenze legislative, dal silenzio della Costituzione sulla spettanza (alla potestà legislativa statale esclusiva ai sensi del secondo comma dell'art. 117 o alla potestà legislativa concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo articolo) della materia “infrastrutture” in genere, si ricava che, all'opposto di quanto era possibile desumere dal testo costituzionale pre-riforma, questa risulterebbe attribuita alla potestà legislativa regionale residuale, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost., almeno nella misura in cui non sia possibile ricondurla in alcun modo ad altra delle materie nominate dal secondo o dal terzo comma dell'art. 117 (infra, par. 3). Il progetto di riforma costituzionale c.d. Renzi-Boschi, quindi, si proponeva di superare alcune delle criticità nel tempo evidenziatesi, mediante l'aggiunta, nell'elenco delle competenze legislative attribuite in via esclusiva allo Stato, delle materie “produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell'energia” e “infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale” (infra, par. 6). A tali considerazioni relative alla non univocità del dato costituzionale testuale bisogna aggiungere, come anticipato, quelle relative alla complessità della materia in sé. La materia si interseca, infatti, con altre, attraversandole trasversalmente: soprattutto (ma non solo) con l' “urbanistica” di cui all'originario testo costituzionale, con l' “ambiente e ecosistema”, con il “governo del territorio”, con la “concorrenza”, …, di cui al testo costituzionale riformato nel 2001. Anche con riferimento alle materie che interferiscono con quella infrastrutturale che qui interessa, la non univocità della terminologia costituzionale, com'è evidente, costituisce fattore che vale a ulteriormente confondere. La complessità del quadro costituzionale, riverberandosi in “complicatezza” della sua attuazione legislativa e amministrativa, è di sicuro ostacolo allo sviluppo infrastrutturale. Tra le cause dell'arretratezza del nostro Paese sotto tale profilo è stata, infatti, individuata proprio “un’architettura istituzionale e un sistema di regole e di procedure che rendono macchinose, defatiganti e farraginose la programmazione, la decisione, la localizzazione e la realizzazione degli impianti e delle infrastrutture strategiche”; problema che va ad aggiungersi a quello dell’elevato indebitamento pubblico, che rende difficile reperire nei bilanci pubblici le risorse necessarie per finanziare i piani di infrastrutturazione, dai costi ingenti. Questa difficoltà, a sua volta, in una sorta di loop, finisce per impedire la crescita e la ripresa economica: senza risorse non si possono realizzare le infrastrutture e, per converso, senza infrastrutture non si possono realizzare risorse. Addirittura, i problemi infrastrutturali vengono oggi considerati, dagli stessi economisti, prioritari anche rispetto a quelli della finanza pubblica, che fin qui erano ritenuti la causa prima del “problema italiano”. Tra l'altro, come osservato, il problema delle istituzioni e delle procedure non è irrilevante ai fini del finanziamento delle infrastrutture. Attrarre capitali privati, infatti, è possibile soltanto se il contesto è conveniente; e del contesto fanno parte, oltre a strumenti finanziari, sistemi di garanzia e incentivi fiscali adeguati, anche regole e procedure che garantiscano tempi certi e rapidi per le decisioni pubbliche relative alle infrastrutture, per il rilascio delle autorizzazioni amministrative, per l'adozione dei provvedimenti di concessione e di esproprio funzionali alla realizzazione di opere e impianti, nonché, infine, per i procedimenti contenziosi relativi alla localizzazione, aggiudicazione e realizzazione di infrastrutture e impianti strategici… L’incertezza e la lunghezza dei tempi, in sintesi, scoraggiano gli investitori, elevano i profili di rischio degli investimenti, accrescono il costo dei finanziamenti. Siffatte considerazioni evidenziano l'essenzialità, in materia infrastrutturale, delle politiche di semplificazione intraprese dal legislatore (infra, par. 4)... (segue)
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