L’analisi delle conseguenze della Brexit per la Scozia e l’Irlanda del Nord deve prendere l’avvio da un punto comune ai due ordinamenti, quello relativo agli effetti della sentenza Miller sul ruolo delle amministrazioni devolute nel processo di uscita dall’Europa. Come noto, il 3 novembre 2016 la High Court di Londra si è pronunciata su un caso di judicial review relativo ai diversi ricorsi sottoposti al suo giudizio da alcuni cittadini i quali avevano affermato l’obbligo di coinvolgere il parlamento nell’attivazione dell’art. 50 del Trattato di Lisbona. Nella sentenza la High Court ha affermato che la notifica della volontà di recedere dall’Unione deve essere autorizzata da una legge del parlamento e non può essere oggetto di un provvedimento del governo. La decisione della Corte si è basata non solo sul rispetto del principio della sovranià del parlamento, il quale comporta l’obbligo di non poter abrogare leggi o limitare i diritti dei cittadini attraverso l’uso delle prerogative regie, ma anche sull’aver considerato irreversibile la procedura dell’articolo 50. Ne conseguiva che i diritti dei cittadini garantiti dalla normativa europea avrebbero subito modifiche fin dal momento di tale attivazione. La High Court ha respinto quindi anche l’interpretazione data dall’esecutivo di Theresa May secondo cui l’European Communities Act 1972, che aveva stabilito l’ingresso del Regno Unito nella Cee, avrebbe anche riconosciuto al governo il potere di recedere dai trattati istitutivi europei. Contro questo giudizio la Premier May ha presentato ricorso alla Corte suprema, la quale con la sentenza R (Miller) v Secretary of State for Exiting the European Union [2017] UKSC 5 del 24 gennaio 2017 ha confermato la decisione della High Court ed ha dichiarato che l’attivazione della procedura dell’articolo 50 era possibile solo attraverso una legge del parlamento. Con la maggioranza di 8 giudici, a cui hanno fatto seguito 3 opinioni dissenzienti, la Corte suprema ha ritenuto che l’ingresso del Regno Unito nella Cee aveva modificato le fonti del diritto interno e l’assetto costituzionale del Paese e che, pertanto, in ossequio ai principi costituzionali del diritto britannico, non era possibile affidare la riforma di tale sistema alla prerogativa regia, ma doveva intervenire una legge del parlamento. Mentre la causa Miller di fronte alla High Court non aveva preso in considerazione il tema del coinvolgimento delle amministrazioni devolute nel processo della Brexit, l’argomento è stato esaminato dalla Corte suprema. Da un canto infatti, tenuto conto del sistema di governo multilivello presente nel Regno e dell’interconnessione tra la materia europea e quella devoluta, la Corte suprema ha accolto la richiesta dei governi devoluti di partecipare alle udienze della causa Miller; dall’altro la Corte suprema ha esaminato contestualmente anche i due casi relativi alla Brexit provenienti dall’Irlanda del Nord. Per quanto riguarda il primo aspetto bisogna precisare che l’European Union Referendum Act 2015 – il quale ha stabilito la disciplina relativa al referendum sulla Brexit - non aveva riconosciuto alcun ruolo particolare alle assemblee devolute, né previsto la necessità di una doppia maggioranza (quella non solo del Regno Unito, ma anche delle singole nazioni che lo compongono) da ottenere nel voto espresso dai cittadini. Pertanto nessuna valenza giuridica era stata attribuita al fatto che nel referendum dello scorso anno i cittadini in Irlanda del Nord e in Scozia si fossero espressi a maggioranza a favore del Remain, al contrario di quelli di Inghilterra e Galles tra i quali era prevalso il Leave. Il governo scozzese, comunque, riteneva che l’esecutivo nazionale, prima di notificare a Bruxelles la volontà del Regno Unito di recedere dall’Unione, dovesse richiedere non solo l’autorizzazione del parlamento di Westminster, ma anche di quello delle singole assemblee devolute, in ossequio alla convenzione nota come legislative consent motion, secondo la quale le assemblee devolute votano una mozione prima che Westminster approvi una legge nelle materie di loro competenza o che le riguardi. Tale convenzione, prevista dal 2001 in un memorandum of understanding tra il Regno Unito e i governi devoluti, stabilisce che “the UK government will proceed in accordance with the convention that the UK Parliament would not normally legislate with regard to devolved matters, except with the agreement of the devolved legislature”; la convenzione è stata anche riconosciuta nello Scotland Act 2016 e nel Wales Act 2017. Così, nel corso delle udienze di fronte alla Corte suprema, il Lord Advocate scozzese aveva affermato che la richiesta della Scozia di autorizzare la notifica si fondava anche sul fatto che l’uscita dall’Unione avrebbe comportato una modifica dell’assetto costituzionale britannico, un cambiamento dei diritti e delle libertà di cui godono i cittadini scozzesi e un mutamento dei poteri e delle competenze della stessa assemblea di Holyrood... (segue)
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