Il termine better regulation rappresenta oggi l’espressione più matura che riassume gli esiti di una riflessione condotta ormai da decenni in seno alle istituzioni europee e che muove dalla necessità di un miglioramento della qualità della legislazione affinché le politiche dell’Unione siano in grado di raggiungere efficacemente gli obiettivi prefissati. Il tema non è certo nuovo. Tale riflessione, che ha origine negli anni ’90 grazie all’influsso dell’OCSE, ha ottenuto una crescente visibilità agli inizi del nuovo millennio quando è stato coniato in Europa il termine “smart regulation”, e ha trovato il suo attuale epilogo con il Pacchetto adottato dalla Commissione Europea nel 2015, con cui sono stati codificati, tramite strumenti di soft law, una serie di principi e di strumenti volti a definire una più ampia strategia funzionale all’implementazione della qualità della legislazione di matrice europea. Pur attraversato da ammodernamenti e da interventi di affinamento dello strumentario esistente, la qualità della regolamentazione ha pertanto rappresentato, a partire dalla sua irruzione nella scena europea, un obiettivo e una sfida per l’Unione stessa, attraverso la quale ridurre il rischio di produrre norme mal concepite, incapaci di rispondere agli standard di efficienza auspicati e, al contrario, produttive di eccessivi oneri destinati a ripercuotersi con effetti distorsivi sui destinatari dell’intervento regolativo. A questo fine, le istituzioni europee, trainate dalla Commissione e prendendo in prestito parte dello strumentario già in uso in altri ordinamenti europei ed extra europei, hanno concentrato la loro attenzione su alcuni aspetti fondamentali quali la semplificazione normativa, l’utilizzo delle consultazioni come mezzo di coinvolgimento dei destinatari delle norme e, infine, l’analisi di impatto e la valutazione ex post dell’intervento legislativo in tutte le sue fasi di vita. Al di là di queste brevi premesse sul termine, la better regulation ha moltissime, diverse implicazioni. Come ricordato di recente da Morrone: «Qualità della regolazione è concetto ambiguo, che rimanda ad una pluralità di metodi, per realizzare la better regulation». Il poliformismo della nozione di better regulation, che discende dalla pluralità di anime e di funzioni che la compongono, incontra una formidabile complicazione quando, invece che riferirsi al processo deliberativo pertinente allo Stato nazionale, esso pertiene agli atti normativi dell’Unione europea. Questo insieme di strumenti agganciano infatti anche gli altri livelli istituzionali che compongono l’articolazione verticale dell’Unione, toccando quindi inevitabilmente il livello nazionale e quello regionale. Da una parte, la dimensione territoriale viene assunta quale ambito di valutazione per l’impatto della regolazione europea, anche per garantire il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità; dall’altra, il metodo che ispira la strategia di better regulation richiede l’integrazione tra le autorità sovranazionali e tutti gli altri attori che si collocano nella filiera verticale europea, ai quali il tema della qualità della regolazione non è estraneo. Nella consapevolezza delle vaste e profusamente indagate implicazioni che può generare l’implementazione di una strategia che miri al rafforzamento della qualità della regolamentazione, il particolare punto di osservazione che si vuole qui assumere è quello del legame tra la better regulation e il dipanarsi della filiera verticale che compone l’Unione Europea; un’Unione che si struttura – o che aspira a strutturarsi – come un sistema di multilevel governance o di multilevel constitutionalism. Questo è il punto di partenza da cui muovono le seguenti riflessioni e l’angolo prospettico con cui si analizzeranno le recenti novità in materia. In altri termini, scopo di questo lavoro è verificare se e come l’implementazione della better regulation possa o meno contribuire a sciogliere l’intricato nodo del rapporto tra livelli di governo che da sempre anima il dibattito sulla natura dell’Europa unita… (segue)
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