L’Europa non verrà costruita tutta ad un tratto. Verrà costruita nelle crisi e sarà il risultato delle soluzioni adottate in quelle crisi. Tale affermazione di Jean Monnet, di estremo interesse e di rilevante attualità, contribuisce a spiegare la tempestiva e persistente attenzione della dottrina (non solo giuridica) alle sollecitazioni degli avvenimenti occorsi negli anni della crisi economico-finanziaria più profonda del secondo dopoguerra con particolare riferimento ai relativi lasciti sull’ordinamento giuridico dell’Unione europea (e, di riflesso, sugli stessi ordinamenti degli Stati membri). Com’è noto, la crisi economico-finanziaria, scoppiata negli Stati Uniti nel biennio 2007-2008 e in breve tempo propagatasi anche in Europa, affonda le proprie radici in una “pluralità di contestuali fallimenti, a cominciare da quello del mercato”, in particolare del settore bancario. In un inestricabile intreccio accentuato dai crescenti attacchi speculativi sferrati dal mercato globale, esso si è poi esteso a quello di alcuni Stati dell’area mediterranea emblematicamente rappresentato dalla crisi dei relativi debiti sovrani. Di talché, l’incidenza della crisi sull’UE, conducendo all’adozione di incisivi processi di riforma, ha interessato principalmente il profilo dei rapporti tra diritto e economia, tra intervento pubblico e mercato e, dunque, la ‘Costituzione’ economica europea (e quelle nazionali) nonché la relativa governance. Quale Unione, e in particolare quale Unione economica e monetaria (UEM), ci viene consegnata dal ‘diritto della crisi’ prodotto dall’assetto istituzionale dell’Unione europea e dagli Stati membri anche sulla base di appositi accordi internazionali? Il diritto della crisi ha accentuato la prevalenza di istanze competitive e di concorrenza fra Stati e relative regole o ha anche innestato istituti che alimentano nessi e istanze di solidarietà tra cittadini europei e Stati membri (e all’interno di questi)? In altri termini, in che misura esso si è posto in linea di continuità ovvero in termini distonici con le matrici teoriche di riferimento (economiche e politiche) che a partire dal Trattato di Maastricht e dal Patto europeo di stabilità e crescita hanno ispirato significativamente la costruzione complessiva europea e in particolare le trame normative dell’UEM? È intorno a tali quesiti che ruotano le riflessioni che seguono. Del resto, è ampiamente noto che il rapporto tra economia, politica e diritto nonché tra le diverse scuole di pensiero che si sono formate sul punto hanno accompagnato l’intero percorso del costituzionalismo moderno e di quello del secondo dopoguerra sol che si pensi alle trame costituzionali che nel corso del tempo hanno cercato di orientare i rapporti tra potere, mercato e diritti secondo moduli e finalità diversi incarnati rispettivamente dallo Stato liberale e dalla successiva affermazione dello Stato sociale. Per di più, negli anni della crisi economica, come si evince dal crescente numero di ricerche pubblicate con il contestuale apporto di giuristi, economisti ma anche di sociologi, si è accresciuta la consapevolezza di favorire un dialogo maggiormente sinergico all’interno delle scienze sociali. Anzi, circoscrivendo l’attenzione ai rapporti tra discipline giuridiche ed economiche, emerge una vera e propria necessità. Con l’irruzione del Trattato sulla stabilità di bilancio, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria (il c.d. Fiscal compact) e con la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio (quantomeno in alcuni ordinamenti come quello italiano, spagnolo e, già dal 2009, quello tedesco), le Corti costituzionali non possono prescindere nei relativi percorsi argomentativi da nozioni e acquisizioni proprie delle scienze economiche (ad esempio per accertare preliminarmente la presenza o meno di fasi favorevoli del ciclo economico ai fini della valutazione di un ricorso all’indebitamento da parte dello Stato). Per chi non è un esperto della materia sarebbe arduo, e ai nostri limitati fini pure inutile, procedere ad una esaustiva e analitica ricostruzione delle diverse dottrine economiche e della eterogeneità di approcci interpretativi accolti anche all’interno delle stesse singolarmente considerate e nella relativa evoluzione. Nondimeno, a mo’ di premessa un dato di comune acquisizione si può mettere in risalto: nella costruzione dell’edificio europeo il principale contributo è stato fornito da alcune dottrine economiche che, sebbene inquadrate in scuole di pensiero diverse, esprimono comunque significative convergenze in ordine alla configurazione del rapporto tra poteri pubblici e società, tra interventismo pubblico e mercato. Il comune orizzonte regolativo è quello di determinare una “spoliticizzazione del mercato”. Posta tale premessa, nel tentativo di rispondere ai quesiti formulati si procederà con una preliminare riflessione sul contributo e sull’impiego di tali teorie economiche nella definizione delle scelte fondamentali che caratterizzano il diritto primario sovranazionale, con particolare riferimento all’UEM. Ciò ci consentirà di verificare se e in che misura, a fronte di un quadro pattizio rimasto per gran parte immutato, il ‘diritto europeo della crisi’ ne segue le coordinate essenziali tenendo presente altresì le indicazioni fornite da alcune teorie economiche oscurate in sede di formazione e revisione del diritto primario dell’UE. Infine, nelle osservazioni conclusive si passerà la parola ai “fatti” emersi nel corso della crisi, ma osservabili per gran parte tutt’oggi. Tale necessità è frutto della consapevolezza anche metodologica che solo facendo “parlare di più i fatti, che sono quelli che contano”, può valutarsi serenamente quale Unione ci viene consegnata dal diritto europeo e nazionale ‘anti-crisi’, il grado della relativa efficacia rispetto alle problematiche poste dall’emergenza finanziaria e poi anche economica e, infine, la coerenza rispetto ad essi dei recenti tentativi di rilancio della crescita che stanno caratterizzando l’attuale azione delle istituzioni sovranazionali… (segue)
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