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NUMERO 6 - 20/03/2019

 L'auto-eccezione del difetto di giurisdizione

Il presente contributo si prefigge di approfondire la fattispecie, esaminata dalla giurisprudenza con punti di approdo spesso differenti, in cui il soggetto ricorrente dinanzi al T.A.R. rinneghi, in un secondo momento, la sua opzione originaria ed, essendo sopraggiunta una sentenza di rigetto del proprio ricorso, si attivi dinanzi al Consiglio di Stato, deducendo, come motivo di appello, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, al fine di ottenere l’annullamento della sentenza di primo grado e far transitare la causa davanti al giudice ordinario. Si tratta di un caso non infrequente nella pratica e quanto mai attuale, che si presta anche ad una disquisizione di carattere teorico-scientifico. La problematica è imperniata soprattutto sul disposto dell’art. 9 del d. lgs. n. 104 del 2010 [codice del processo amministrativo (c.p.a.)], secondo cui: “Il difetto di giurisdizione è rilevato, in primo grado, anche d’ufficio. Nei giudizi d’impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, abbia statuito sulla giurisdizione”. In merito alla questione in esame, si sono registrati, nel corso degli ultimi anni, orientamenti discordanti della Suprema Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, a cui si è ricollegata la dottrina: un orientamento tendenzialmente favorevole, uno avverso ed uno intermedio, assai meno consolidato, che prospetta una valutazione concreta da svolgersi caso per caso. Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, rilevato il rifiorire di contrasti giurisprudenziali, con ord. n. 634 del 2015, ha rimesso la questione all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ex art. 99 c.p.a. A seguito di tale rimessione, la Plenaria, con ord. n. 4 del 2017, ha restituito gli atti al massimo consesso amministrativo siciliano, ricordando come la problematica prospettata sia stata risolta, in senso negativo, dalla Corte di Cassazione civile, a sezioni unite, con la sent. n. 21260 del 2016. Secondo l’orientamento del giudice della nomofilachia, condiviso dalla Plenaria, la questione di giurisdizione costituisce un capo della pronuncia in ordine al quale si individuava una parte vittoriosa e una parte soccombente, Di conseguenza, l’appello può essere proposto solo dalla parte soccombente, in quanto la soccombenza del potere di impugnativa rappresenta l’antecedente necessario. Il principio di diritto che ne deriva è che l'attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato a interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto. Ma la questione, nonostante l'autorevolezza di tali pronunce, si presta a dar vita ad ulteriori dibattiti e contrasti. Per affrontare e tentare di dare una possibile soluzione alla problematica, dovrebbe essere fondamentale o, addirittura, dirimente l’esame sistematico della disciplina legislativa applicabile al processo amministrativo... (segue)



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