“Mettiamo da un canto tutte le etichette, tutti i preamboli e tutte le retoriche più o meno internazionaliste e federaliste. Guardiamo al vero contenuto della comunità che questo trattato vuole istituire. In realtà si tratta qui di costituire gli strumenti per il dominio effettivo della Germania, dell’industria pesante tedesca, sull’Europa occidentale, con la complicità dei gruppi francesi della Lorena […]. Noi respingiamo questa supina accettazione di una inferiorità permanente dell’Italia, questa posizione di accattonaggio cui voi vorreste in eterno condannare il nostro Paese”. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, queste parole non sono tratte dal discorso di un qualsiasi sovranista dell’Italia del 2019; si tratta, invece, di un passaggio dell’intervento tenuto da Antonio Giolitti, deputato del PCI, quale relatore di minoranza alla Camera in occasione del dibattito sulla ratifica dei trattati istitutivi della Ceca, tenutosi il 16 giugno 1952. Il cambio di paradigma rispetto alle posizioni odierne suona talmente paradossale da suggerire qualche rapida riflessione. La collocazione dell’Italia sul fronte atlantista ed europeista segna – come è assolutamente noto – le scelte iniziali della nostra Repubblica e marca la strada: l’adesione alla Nato del 1949 nella visione di De Gasperi precede e si lega inevitabilmente alla decisa opzione per la scelta europeista. Certamente, tale scelta è conseguenza e frutto non tanto e non solo del cleavage vincitori/vinti, quanto della spartizione effettuata a Yalta, ma la collocazione internazionale italiana è la chiave di interpretazione della storia istituzionale e politica della Repubblica fin dalla sua nascita. Lo spiega chiaramente Pietro Scoppola nel suo La Repubblica dei partiti: “il legame di ferro con l’Unione Sovietica rappresentò di fatto un motivo decisivo di esclusione della sinistra da ogni responsabilità di governo in un paese come l’Italia che era collocato sulla base degli accordi di Yalta nell’area di influenza americana e che questa collocazione aveva confermata con la scelta atlantica ed europeista”. La conseguenza sul piano delle dinamiche costituzionali fu, come ci ha insegnato Leopoldo Elia, la conventio ad excludendum, “regola del gioco” come lui stesso la definisce, che di fatto escludeva una parte della rappresentanza politica - quella comunista il cui punto di vista era appunto quello espresso da Antonio Giolitti - dalla possibilità di contrarre alleanze di governo. La fortunata formula usata da Elia, lungi dall’essere una formula costitutiva di una realtà, era piuttosto una formula ricognitiva o descrittiva di una situazione reale, e non è un caso che, guardando alla situazione di oggi, commentatori attenti abbiano rievocato quella stessa formula per descrivere la dinamica della nascita del secondo governo Conte… (segue)
Una sentenza necessaria per stabilire un punto di non ritorno. Corte cost. 146/2024 e l’equilibrio della forma di governo
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