
C’è un paese che parla una propria lingua romanza e in cui il Presidente eletto è stato dichiarato decaduto per alcune irregolarità nel finanziamento della propria campagna elettorale. Non si sta parlando della Romania e della controversa sentenza della Corte costituzionale di Bucarest dello scorso dicembre (sentenza n. 32 del 2024), ma della Regione Sardegna e della decadenza della sua Presidente Todde pronunciata a gennaio dal Collegio regionale di garanzia elettorale (d’ora in avanti: CRGE) presso la Corte di appello di Cagliari,.
La vicenda si innesta su di un quadro normativo obsoleto ed enigmatico, quello dato dalla legge n. 515 del 1993, e solleva numerosi interrogativi ai quali è arduo trovare una risposta precisa. Probabilmente sarà la Corte costituzionale a dovere sciogliere alcuni dei nodi di questo intrico. Il Consiglio regionale sardo ha infatti approvato, il 18 febbraio scorso, una mozione che impegna la stessa Presidente Todde a promuovere avverso la decisione del CRGE un conflitto di attribuzione tra enti davanti alla Corte costituzionale.
In questa sede è possibile soltanto illustrare i fatti ed enunciare in breve le questioni che si pongono.
Il 3 gennaio 2025 il CRGE, all’esito di un procedimento in cui era stato garantito il contraddittorio, ha emesso un provvedimento (“ordinanza/ingiunzione”) con cui, accertate gravi irregolarità nella rendicontazione delle spese elettorali, ha irrogato alla Presidente Todde alla una sanzione amministrativa di 40mila euro e ha disposto la trasmissione degli atti al Consiglio Regionale “per quanto di sua competenza in ordine all’adozione del provvedimento di decadenza dalla carica di Presidente della Regione Sardegna”.
Dalla lettura dell’ordinanza/ingiunzione emerge in modo limpido la “totale inosservanza della normativa di cui alla Legge 515/1993”. Todde, infatti, non aveva nominato un mandatorio elettorale e non aveva aperto un conto corrente dedicato alla raccolta fondi; in sostanza aveva gestito il finanziamento e le spese della campagna elettorale in modo “casalingo”, salvo poi presentare al CRGE, invece che del proprio rendiconto firmato dal mandatario (art. 7, comma 6, legge n. 515 del 1993), una dichiarazione (su moduli predisposti dal CRGE) in cui affermava di avere sostenuto spese e ricevuto contributi per oltre 90mila euro, unitamente al rendiconto del “Comitato Elettorale del M5S per l’elezione del Presidente della Regione Sardegna”. Di fronte alle contestazioni del CRGE Todde si era quindi difesa affermando, contraddicendo la precedente dichiarazione, di non avere sostenuto alcuna spesa per la campagna elettorale, e che le spese erano state invece poste a carico del partito. La CRGE nella sua ordinanza/ingiunzione chiarisce che Todde aveva in realtà sostenuto spese per la campagna elettorale (ad es. pagando le utenze della sede del comitato elettorale), che il comitato elettorale in questione aveva finanziato non solo la campagna elettorale di Todde e che non era stato chiarito su quale conto corrente fossero confluite le donazioni effettuate con PayPal.
La prima questione è se simili irregolarità giustifichino la sanzione della decadenza. In realtà, come correttamente osservato da Omar Chessa, la legge prevede la decadenza solo in caso di mancata presentazione “della dichiarazione da parte del candidato proclamato eletto, nonostante la diffida ad adempiere” (art. 15, comma 8, legge n. 515 del 1993). D’altra parte, lo stesso CRGE ha chiaramente affermato di non avere mai contestato il mancato deposito della dichiarazione, ma solo gravi anomalie della stessa.
La seconda questione è quale sia il ruolo del Consiglio regionale, se la sua delibera di decadenza sia un “atto dovuto”, o se possa esercitare un margine di apprezzamento. Dal momento che i consigli regionali, a differenza delle Camere, non godono della garanzia di cui all’art. 66 Cost. (e cioè non possono esercitare la verifica dei poteri), si dovrebbe propendere per un ruolo di mera ratifica da parte del Consiglio.
Terza questione, più interessante sul piano costituzionale, è se il Presidente della Giunta regionale possa essere equiparato, ai fini della disciplina delle campagne elettorali, a un consigliere regionale. L’interrogativo si pone a causa del fatto che la legislazione sulle campagne elettorali (oltre alla legge n. 515 del 1993 risulta qui applicabile la legge sarda n. 1 del 1994) è precedente all’introduzione dell’attuale forma di governo delle Regioni. Il Presidente è in effetti un consigliere regionale, ma, come noto, il suo venir meno provoca lo scioglimento del Consiglio regionale e la conseguente convocazione dei comizi elettorali. La sostanziale sanzione del CRGE in questo caso sarebbe quindi non tanto la decadenza dal mandato di consigliere regionale, quanto lo scioglimento del Consiglio regionale. E la votazione sulla decadenza da parte del Consiglio regionale equivarrebbe in sostanza all’approvazione di una mozione di sfiducia e costituirebbe un’ulteriore ipotesi di scioglimento del Consiglio oltre a quelle espressamente previste dagli articoli 15 e 35 dello Statuto sardo.
In tal modo il CRGE ha in sostanza annullato le intere elezioni regionali tenutesi nel 2024, analogamente a quanto avviene in altri ordinamenti quando vengano riscontrati gravi vizi del procedimento elettorale (è il caso ad es. della Germania; si pensi a quanto avvenuto con le elezioni berlinesi del 2022). Con la differenza, di non poco conto, che simili decisioni sono di norma prese dalle corti costituzionali quando sono chiamate a svolgere la funzione di giudice elettorale (si pensi ancora al caso rumeno), e non da un organo amministrativo sulla base di una legge obsoleta.
Si potrebbe sostenere che il Presidente della Regione Sardegna sia assoggettato, in quanto consigliere regionale (e candidato a entrare nel Consiglio regionale), agli obblighi di rendicontazione e trasparenza di cui alla legge n. 515 del 1993, ma che non possa incorrere nella particolare sanzione della decadenza, pena la violazione di quanto disposto da una fonte costituzionale. Lo stesso CRGE ha del resto deciso che il candidato alla Presidenza della Regione non è sottoposto ad alcun limite di spesa per la campagna elettorale “in virtù dell’insussistenza di una norma che lo preveda”. Se quest’ultima conclusione suscita perplessità (perché si presta a gravi aggiramenti della disciplina sui limiti di spesa), rimane invece assai dubbia la legittimità costituzionale della sanzione della decadenza per il consigliere/Presidente.
In disparte questo profilo di illegittimità costituzionale, la vicenda conferma come risulti ormai imprescindibile una riforma della legge n. 515 del 1993 che la aggiorni quanto meno ai principali mutamenti del quadro normativo intervenuti negli ultimi 30 anni (in primo luogo: la nuova forma di governo regionale, la nuova legislazione elettorale, la nuova disciplina sul finanziamento dei partiti politici, il recente regolamento europeo sulla pubblicità politica).