Prima di diventare l’attuale “stato di rovescio”, lo “stato di diritto” combatté una lunga, meritoria battaglia politica contro lo “stato assoluto”. Per sottometterlo ad un ordinamento regolato da norme scritte, stabili, contenute in statuti o costituzioni. Questo sul piano, per cd., della forma. Mentre, sul piano sostanziale della vita comunitaria, la lotta si svolse per il passaggio dalla situazione in cui tutto il potere statale era concentrato nelle mani del monarca alla condizione nella quale esso fu organizzato in base al principio della divisione in legislativo, esecutivo e giudiziario. Scopo precipuo di questa lotta fu, insomma, la garanzia della libertà dell’individuo. Attraverso la sottoposizione del potere politico dello stato alla legge, prima, ed alla costituzione, poi. Sta tutta qui, in queste poche categorie, la dottrina del costituzionalismo che si sarebbe poi affermata nel XIX secolo ed i cui presupposti ideologici si trovano nella tradizione anglo-americana. Dopo le sue prime manifestazioni nell’Inghilterra di Guglielmo III d’Orange, essa, infatti, nasce in America nel 1776. Ma raggiunge la sua piena maturazione con la Rivoluzione francese. Da questo processo evolutivo il suo nucleo essenziale finisce per strutturarsi, come si accennava, intorno ad alcune specifiche questioni che vanno dalla “costituzione scritta” al “potere costituente”, dalla “dichiarazione dei diritti” alla “separazione dei poteri”, per finire al “controllo di costituzionalità” delle leggi. Ma, soprattutto, ad alcuni elementi essenziali della “forma di stato” quali la sovranità, il territorio, il popolo, la democrazia. Luigi Sturzo, “costituzionalista non titolato”, come egli stesso con compiacimento si autodefiniva, dopo lo studio delle opere di Gioacchino Ventura e di Antonio Rosmini e gli insegnamenti di Giuseppe Toniolo, allorché scende nell’agone politico, si misura ‘alla pari’ con queste tematiche inerenti essenzialmente le condizioni della convivenza umana e della democrazia ma non resta condizionato dalle sottigliezze con le quali l’elaborazione teorica del positivismo giuridico le presenta ed anzi, fin da subito, ne mette in discussione il dogma fondamentale sul quale tutte erano fondate: la sovranità assoluta dello stato. Per il sacerdote calatino, infatti, come vedremo, lo stato democratico si organizza e funziona all’incontrario di come ritiene la stragrande maggioranza della dottrina ufficiale: esso “si costruisce dal basso, attraverso individui responsabili ed enti autonomi all’interno dei quali i primi, nel reciproco riconoscimento e rispetto dei propri diritti, possano far pieno esercizio della libertà”. Insomma, Sturzo si muove sì sulla base delle dottrine del costituzionalismo ottocentesco ma si preoccupa di ergere subito un muro nei confronti non solo dei modelli costituzionali che danno forma a versioni totalitarie di organizzazione del potere ma anche delle esperienze che si caratterizzano per “il permanere di un’eccedenza di poteri dello Stato rispetto alla sovranità della Costituzione e all’autonomia della società”. Alla sua raffinata sensibilità politica non sfugge, cioè, che gli indirizzi costituzionali seguiti in tutta Europa alla fine mettono in crisi proprio il modello tradizionale dello stato di diritto e della democrazia nei suoi profili istituzionali più significativi: dalla forma di stato alla forma di governo, fino agli assetti territoriali delle nazioni. E la ragione di tale emersione ha un’unica e precisa origine: che Sturzo individuava nelle “concezioni ingenue della sovranità”… (segue)
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