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NUMERO 15 - 26/07/2017

Macron e l'eccezionalismo francese

La costituzione della Quinta Repubblica trova infatti con l’elezione di Macron una realizzazione che, la si voglia considerare un inveramento od una degenerazione del modello originale, separa nettamente la Francia da qualsiasi altro regime politico europeo, e verosimilmente da qualsiasi altro regime politico democratico del mondo. La differenza è costituita dalla dinamica dell’espressione del voto elettorale rispetto a ogni altra elezione presidenziale francese. L’elezione presidenziale del 2017 vedeva un corpo elettorale di 47.582.728 cittadini. I voti espressi al primo turno sono stati 36.054.394 (77,77%). Le schede bianche sono state 659.997, le nulle 289.337. Macron ha riportato 8.656.346 voti (24,01%). Marine Le Pen 7.678.491 voti (21,30%). François Fillon 7.212.995 voti (20,01%). Jean-Luc Melanchon 7.059.951 voti (19,58%). Benoit Hamon 2.291.288 voti (6,36%). Nicolas Dupont-Aignan 1.695.000 voti (4,70%). Altri candidati hanno raccolto poco più del 4% dei voti. Al secondo turno hanno partecipato 35.467.172 cittadini (74,56%). I voti espressi sono stati 31.397.915 (88,53%). Le schede bianche sono state 3.019.735 (8,51%), le nulle 1.049.522 (2,96%).  Macron ha riportato 20.753.797 voti (66,10%), Le Pen 10.644.118 voti (33,90%). Nella storia della Quinta Repubblica con l’elezione di Macron vi è stato – per dirla con il vecchio Engels -  un passaggio dalla quantità alla qualità. Il meccanismo dell’elezione presidenziale voluto da de Gaulle e dai suoi costituzionalisti aveva notoriamente l’obiettivo di costituire un potere esecutivo che, pur non sganciato da quello legislativo come nel modello costituzionale americano, avesse nel rapporto diretto del presidente con il popolo l’antidoto alla frammentazione politica ed alla debolezza dei governi che la Francia aveva visto con la Terza Repubblica, ed ancor più con la Quarta Repubblica.  Tutta la logica della costituzione – formale e materiale - della Quinta Repubblica si differenziava quindi nettamente e necessariamente sia dal modello della democrazia inglese sia dal modello della democrazia parlamentare continentale teorizzata da Hans Kelsen e dai suoi innumerevoli seguaci. Gli oppositori di de Gaulle utilizzarono questa contrapposizione per affermare che la costituzione della Quinta Repubblica dava alla Francia un regime sostanzialmente non democratico: il “colpo di Stato permanente”, secondo la fortunata espressione di François Mitterrand. L’elezione diretta del Presidente della Repubblica, ed insieme il meccanismo del doppio turno, fu la soluzione voluta da de Gaulle per assicurare un potere esecutivo forte e stabile compatibile con la logica della democrazia rappresentativa. Quasi sessant’anni di storia hanno indubbiamente dimostrato che il modello ha conseguito lo scopo. Ed hanno anche dimostrato che non si trattava di una soluzione universale se è vero, come è vero, che mentre contemperare governi forti e stabili con la logica della democrazia rappresentativa era e rimane una esigenza vitale di tutte le democrazie, nessun Paese europeo ha voluto infine adottare il modello francese, neanche di fronte a crisi politiche non molto dissimili da quelle della Quarta Repubblica. Con l’ultima elezione presidenziale ciò che viene necessariamente messo in dubbio è la base rappresentativa del potere esecutivo. Ogni modello, evidentemente, dipende per il suo corretto funzionamento da condizioni che non posso tutte essere endogenizzate. Condizioni di tipo sociale, economico, culturale. E quindi di rappresentatività delle istituzioni politiche. E’ quasi un truismo affermare che le condizioni della Francia di oggi non sono quelle della fine degli anni Cinquanta. Più significativo è affermare che le condizioni politiche della Francia di oggi sono distanti da quelle della Francia di cinque anni fa più di quanto queste non fossero da quelle dei tempi della prima elezione di de Gaulle... (segue)



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