editoriale di Renzo Dickmann
L’insindacabilità dei parlamentari italiani davanti alla Corte di Strasburgo: ombre e luci
La Corte europea dei diritti dell’Uomo con la sent. n. 46967/07 del 24 febbraio 2009 ha accolto il ricorso promosso da Sergio Cofferati e dalla CGIL, che avevano affermato di non aver avuto la possibilità di far valere davanti alla giurisdizione italiana il diritto al ristoro per la lesione della propria onorabilità conseguente ad un’intervista rilasciata il 25 marzo 2002 al Messaggero, in occasione della quale il ministro delle riforme e deputato, Umberto Bossi, aveva asserito – pochi giorni dopo l’assassinio del Prof. Marco Biagi (19 marzo 2002), dopo un serrato dibattito parlamentare (20 marzo 2002) e dopo una manifestazione della CGIL contro il governo, accusato di voler abrogare l’art. 18 dello statuto dei lavoratori (23 marzo 2002) – che tale omicidio era maturato a seguito del clima di scontri creato dalla sinistra sindacale. L’effetto di tale dichiarazione era stato amplificato anche dal titolo dell’intervista: “Senza le riforme il Governo è morto: le menzogne della CGIL hanno creato l’alibi che ha condotto all’omicidio Biagi”. La Corte di Strasburgo ha operato la propria ricostruzione della questione partendo proprio dal testo dell’intervista, integralmente riportata al punto 10 della sentenza in commento.
La questione che la Corte affronta sullo spunto degli argomenti dei ricorrenti è riferita alla compatibilità del regime italiano dell’immunità per le opinioni espresse dai parlamentari rispetto al diritto di accesso alla tutela giurisdizionale ed a un equo processo di cui all’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU), nonché in rapporto all’art. 10 della stessa Convenzione, che garantisce la libertà di espressione e che può essere invocato anche per i parlamentari.
Tale questione è affrontata sulla scorta di una consolidata giurisprudenza relativa all’Italia che risale alle sentenze
Cordova 1 (n. 40877/98 del 30 gennaio 2003),
Cordova 2 (n. 45649/99 del 30 gennaio 2003) e
De Jorio (n. 73936/01 del 3 giugno 2004). In senso analogo sono anche le sentenze
Patrono, Cascini e Stefanelli (n. 10180/04 del 20 aprile 2006) e
Ielo (n. 23053/02 del 6 dicembre 2005).
(segue)
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