editoriale di Beniamino Caravita di Toritto
Sulla vocazione del nostro tempo per una riforma della Corte dei Conti e la ricostruzione unitaria delle sue funzioni
Qualsiasi riflessione intorno a possibili linee di riforma della Corte dei conti non può non partire dall'attuale contesto economico e istituzionale, italiano e europeo. Il rispetto del recente accordo firmato da 25 Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea, cd. "fiscal compact", rende più stringente l’obbligo per gli Stati membri della Ue di rispettare i vincoli sul disavanzo (3%) e sul debito pubblico (60%) rispetto al PIL, che viene ora ad essere assistito anche da sanzioni “quasi automatiche” e da una scansione più pervasiva, sotto il profilo temporale e numerico, del percorso di risanamento per gli Stati non-compliant. In tale contesto si inserisce, da ultimo, la riforma dell’art. 81 della Costituzione nazionale, che impone oggi il tendenziale pareggio di bilancio. Il rispetto del vincolo del rapporto tra PIL e debito pubblico per l’Italia comporta, in estrema sintesi, di dover scendere dagli attuali quasi duemila miliardi di debito pubblico, pari a oltre il 120% di un Pil di circa milleseicentomiliardi di euro, a circa novecentocinquanta miliardi, con una manovra di oltre quarantacinque miliardi l’anno, fermo rimanendo il livello di inflazione e sempre che si riesca ad evitare un peggioramento dell’attuale situazione di recessione: il controllo della quantità e della qualità della spesa pubblica - insieme alla capacità di ritornare a crescere, al mantenimento di bassi tassi di interesse e all'aumento delle entrate (preferibilmente recuperando l'evasione e mettendo sul mercato assets pubblici, evitando cioè di aumentare il carico fiscale) - sarà dunque cruciale per raggiungere gli obiettivi richiesti dall’Europa.. Anche l’obiettivo del pareggio di bilancio richiederà manovre di ampiezza non dissimile: per passare, su una spesa pubblica di circa 750 miliardi l’anno, dall’attuale 3,9% di deficit al pareggio occorre una manovra, effettuata sempre riducendo le spese o aumentando le entrate, di circa 30 miliardi l’anno. E, d’altra parte, qualsiasi ricontrattazione del “fiscal compact” dovesse aver luogo nei prossimi mesi potrà forse modificare la dimensione delle cifre, ma non la sostanza della prova che attende l’Italia. Eppure, pur nelle dimensioni che possono destare spavento, si tratta in realtà di un obiettivo non impossibile, che potrebbe essere raggiunto con un mix di interventi, il migliore dei quali non dovrebbe comportare un aumento della tassazione, bensì la riduzione della spesa pubblica (pari a circa la metà del PIL) di circa il 3% annuo, il recupero progressivo dell'evasione (calcolata dalla Corte dei conti in circa il 10-12% del PIL) per circa il 15% annuo e la vendita di alcuni assets pubblici; diversamente, i tassi di interesse sul debito pubblico potrebbero raggiungere livelli non sostenibili e forieri di un livello di inflazione – europea, a questo punto, a meno di non voler sperimentare la strada autonoma dell’uscita dall’euro, che comporterebbe una inevitabile svalutazione della nuova moneta nazionale! – di nuovo sulla soglia delle due cifre! Si tratta – come detto - di un obiettivo non impossibile, certo, ma per il raggiungimento del quale occorrerà concentrare le forze e gli sforzi di tutti i soggetti istituzionali... (segue)
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