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NUMERO 23 - 05/12/2012

Le disposizioni penali nella legge contro la corruzione: un primo commento

Relegati in poche lettere del comma 75 dell’articolo unico che esaurisce la legge contenente un ampio e variegato strumentario normativo per la lotta al fenomeno della corruzione (l. 6 novembre 2012, n. 190), gli interventi sul sistema penale si presentano a prima vista come marginali e limitati rispetto all’intero impianto della legge. Finalmente, sembra che il diritto penale non la faccia da padrone nella strategia normativa messa in campo per combattere fenomeni criminosi, che non sia più convocato per recitare un ruolo da protagonista, caricandosi sulle spalle il peso della battaglia e la responsabilità del risultato. Da qualunque angolo la si guardi e in qualunque modo la si spieghi, questa è senz’altro una buona notizia. Siamo talmente abituati ad interventi legislativi emergenziali che incentrano sul diritto penale e sul ricorso allo strumento sanzionatorio i brandelli di una politica criminale “a costo zero”, fatta di messaggi volti a trasmettere la simbologia di una rassicurante scelta di “fermezza” e di “rigore”, ma dotati di nessuna capacità pratica di influire efficacemente nella realtà e destinati di fatto ad ingolfare ulteriormente il derelitto sistema di giustizia penale, che l’idea che il legislatore in un’occasione così importante, attesa e sentita presso l’opinione pubblica, abbia rivolto al tema della “repressione” penale della corruzione uno sguardo apparentemente solo repentino, limitandosi ad un maquillage del corredo dei reati e delle pene ed evitando di incidere pesantemente sul sistema vigente, già di per sé contrassegna in termini positivi il disegno complessivo dell’intervento. Nella marginalità del compito assegnato alla pena scorgiamo da subito la maturazione della consapevolezza che i fenomeni criminosi, in particolare quelli così complessi ed articolati quanto a morfologia, diffusione, penetrazione sociale, si combattono con strumenti preventivi, organizzativi e finanche repressivi ben diversi da quelli del ricorso alla pena, la quale ai limiti “ontologici” che le sono propri assomma, nel sistema italiano, difetti strutturali talmente radicati e profondi da renderla opzione meramente complementare ed accessoria... (segue)



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