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NUMERO 20 - 28/10/2015

L'esecutivo e la RAI: riforma di una governance anomala

Le peculiarità della governance della RAI S.p.A. sono da sempre oggetto di attenzione per diversi motivi. Dal punto di vista “tecnico” è noto che lo statuto della RAI consegue ad una normativa a carattere speciale che è giustificata dalla natura stessa della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, la quale è società d’interesse nazionale per cui trova applicazione la disciplina dettata dal codice civile all’art 2451 c.c. e dunque, per esplicito richiamo (e tenendo conto della compatibilità) dalla previsione di cui dall’art. 2449 c.c. Niente di anomalo, se non fosse che le peculiarità si sono tradotte negli anni in molteplici anomalie dello statuto della RAI, in considerazione delle deviazioni che i sistemi di governance che si sono succeduti nel tempo hanno proposto non soltanto rispetto al modello privatistico disegnato dal codice civile (che è pur sempre il modello di riferimento) ma anche rispetto ai principi di carattere pubblicistico affermati dalla nostra Corte Costituzionale. Principi che già a partire dalla nota sentenza 10-7-1974, n.225, si sono svolti nella premessa dell’imprescindibile necessità che il servizio pubblico risponda all’esigenza di offrire alla collettività “una gamma di servizi caratterizzata da obiettività e completezza di informazione, da ampia apertura a tutte le correnti culturali, da imparziale rappresentazione delle idee che si esprimono nella società; a favorire, a rendere effettivo ed a garantire il diritto di accesso nella misura massima consentita dai mezzi tecnici”. Su queste basi la Corte ha negli anni ripetutamente stabilito, anche in sintonia con i principi posti dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (in part. con la Recomm. n. 96/10), la necessità di garantire l’indipendenza editoriale ed istituzionale del servizio pubblico radiotelevisivo, in particolare dal potere politico, e l’esclusione di ogni forma di controllo a priori sulla sua attività. I principi stabiliti dalla Corte Costituzionale si sono peraltro precisati  nell’affermazione che il servizio pubblico, inteso come “servizio sociale”, deve possedere un “elevato tasso di democraticità rappresentativa”, che lo stesso “ripete dalla sua strutturazione nell'orbita del Parlamento (‘parlamentarizzazione’)” (Corte Cost. n.69/2009, ma v. già sentenza n.194/1987). Secondo la Corte “l'imparzialità e l'obbiettività dell'informazione possono essere garantite solo dal pluralismo delle fonti e degli orientamenti ideali, culturali e politici, nella difficoltà che le notizie e i contenuti dei programmi siano, in sé e per sé, sempre e comunque obbiettivi. La rappresentanza parlamentare, in cui tendenzialmente si rispecchia il pluralismo esistente nella società, si pone pertanto, permanendo l'attuale regime, come il più idoneo custode delle condizioni indispensabili per mantenere gli amministratori della società concessionaria, nei limiti del possibile, al riparo da pressioni e condizionamenti, che inevitabilmente inciderebbero sulla loro obbiettività e imparzialità”. Si tratta di principi chiari, eppure troppo spesso disattesi dal legislatore italiano. Il dibattito in proposito è stato serrato ed in particolare per quanto riguarda la legge del 3 maggio 2004, n. 112 (cd. legge Gasparri), è stato evidenziato che l’assetto di governance disegnato normativamente, non troppo diversamente da quanto già accaduto in passato, ha lasciato “aperti molti varchi alle ingerenze politiche sulla vita dell’Azienda. Ingerenze estranee al legittimo potere di indirizzo che compete al Parlamento, e che, in ragione di ciò, ne snaturano il significato. Ne risulta frustrata la  funzione di controllo e di garanzia circa il corretto adempimento delle finalità e degli obblighi del servizio pubblico generale radiotelevisivo; con evidenti ricadute, anche, sulla gestione”. (1) Considerazioni queste ultime condivise e più volte rappresentate da tutte le forze politiche, al punto che la necessità dell’odierna riforma trova in esse e nella loro più efficace sintesi, che mira alla “ liberazione della RAI dai partiti”, la più naturale e immediata giustificazione. Al di là di considerazioni politiche vale allora la pena di verificare se, ed eventualmente in che misura, la riforma all’esame del Parlamento risulti coerente con gli obiettivi auspicati... (segue)



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