
A ottanta anni dalla Liberazione, e prima che le celebrazioni entrino tra qualche settimana nel vivo, vale la pena di riflettere sulla caratterizzazione antifascista della Costituzione e sui significati di questa aggettivazione. La Costituzione italiana ha affrontato in modo diretto ed esplicito la questione della rottura col passato fascista, ritenuto radicalmente alternativo alla nuova democrazia che si andava a creare. Lo ha fatto verso la fine del testo, in quell’insieme eterogeneo che è costituito dalle cosiddette Disposizioni transitorie e finali. La XII Disposizione, infatti, prevede una norma finale, di carattere permanente, contro i fascisti di qualsiasi tempo, ed una transitoria, contro i fascisti di ieri. Sono tutte e due disposizioni molto prudenti e ben delimitate perché i Costituenti erano per così dire degli antifascisti ottimisti, anche se non ingenui. Ritenendo che con lo sviluppo e il radicamento della democrazia l’eredità del passato sarebbe stata superata, volevano solo dotarsi di deterrenti minimi, per casi estremi. Non scelsero, a differenza di altri Paesi, una democrazia che si protegge, ma un modello di società a democrazia aperta, solo con precauzioni essenziali. Per questo il primo comma della Disposizione, anche se presenta una proibizione permanente, si preoccupa di delimitarla molto precisamente: quello che è proibito non è un generico movimento di idee, un partito che ha riserve sulla democrazia o che ha contrarietà verso di essa in nome di ideologie errate di estrema destra, ma solo «la riorganizzazione[...] del disciolto partito fascista» (corsivo mio), quello che con l’uso della violenza si era già dimostrato come pericoloso e non convertibile alla democrazia... (segue)
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