
Non passa giorno in cui non veniamo sorpresi delle posizioni e dalle iniziative del Presidente Trump: dall’azione militare lampo nei confronti dell’Iran, alla guerra virtuale dei dazi, al profluvio di Executive Orders (ben 164, al 19 giugno 2025) suscettibili di riscrivere il perimetro costituzionale degli Stati Uniti, tanto dal punto di vista dell’equilibrio tra poteri, quanto della tutela dei diritti fondamentali. Da ultimo, solo pochi giorni fa il Segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato – nell’ambito di una drastica riduzione dei costi dell’Amministrazione federale – la cessazione della gestione dei programmi di assistenza estera da parte dell’Agenzia per lo sviluppo internazionale (Usaid), ora trasferita direttamente al Dipartimento di Stato. Un quadro così mutevole che lascia smarriti chiunque cerchi di unire i puntini per definire i contorni della politica di Trump e, ancora di più, del futuro costituzionale degli Stati Uniti. Sì, perché la seconda presidenza Trump, con le uscite scomposte di un Presidente eccentrico, con i repentini cambi di direzione delle politiche, con la rottura di vincoli e alleanze consolidate e con la sfida aperta ad una certa idea di diritti e di società, sta, più di ogni altra, cambiando il volto della democrazia americana. Che il sistema americano fosse in sofferenza non è una novità: Jack Balkin, già in riferimento alla prima Presidenza Trump, parlava di constitutional rot, cogliendo un processo di graduale declino della democrazia americana, «a process of decay in the features of our system of government that maintain it as a healty democratic republic». Altri autori, Jamal Greene su tutti, avevano già diagnosticato una rottura del collante costituzionale e della sua capacità di mediare tra visioni del mondo contrapposte, soprattutto in tema di tutela dei diritti... (segue)
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