
Dopo il decreto-legge “salva-Italia” il regime politico, che agisce dietro il velo del governo tecnico, attende adesso la fase delle riforme. Ma la vera posta in giuoco non sono le riforme per lo sviluppo, le liberalizzazioni, oppure la nuova disciplina del mercato del lavoro che già tanto ha fatto discutere. Tanto più che le decisioni di politica economica scontano sempre una certa distanza temporale tra l’effetto annuncio e gli esiti concreti; questi ultimi, poi, raramente coincidono con gli obiettivi prefissati.
In questo quadro, quale ruolo dovrebbe spettare al governo? Non certo quello di presentarsi come avanguardia della maggioranza, giacché ogni obiettivo che venisse determinato in assoluta autonomia si tradurrebbe in un possibile – se non probabile – elemento di frizione tra i partiti di maggioranza, finendo così per accentuare, più o meno irreversibilmente, le difficoltà di contesto. Diversamente, e più accortamente, il governo dovrebbe muoversi come una sorta di direttore d’orchestra, cui spetti esaltare i punti di intesa e far emergere l’armonia dell’insieme.
Tuttavia, è inevitabile che in questa opera di laboriosa tessitura molti e gravi problemi si affacceranno presto alla ribalta. Il tema della riforma elettorale, ad esempio, sarà uno dei primi all’ordine del giorno, sia che la Corte costituzionale si pronunci nel senso di ammettere i referendum elettorali, sia che le richieste referendarie siano dichiarate inammissibili. Ma vi è soprattutto un convitato di pietra che potrebbe presentare un conto assai salato per chi non intenda affrontare con avvedutezza il problema delle “pietanze” sempre più scarse che sono presenti sulla tavola della Repubblica: il federalismo fiscale. Esso incrocia in modo decisivo entrambe le questioni sopra accennate, cioè sia il tema della finanza pubblica che quello delle riforme istituzionali. Sul primo versante, in particolare, è noto che il federalismo fiscale, proprio per come è stato impostato dalla legge n. 42 del 2009... (segue)
La decisione annotata costituisce l’occasione per tornare su un tema classico del diritto amministrativo, il silenzio-assenso della p.A., la cui disciplina è stata profondamente “rivisitata”, a seguito delle riforme operate dalle leggi n. 15 e n. 80 del 2005. Tali testi normativi, come è noto, modificando le disposizioni relative al termine di conclusione del procedimento e all’ambito di applicazione del silenzio-assenso, hanno, da un lato, previsto la possibilità di impugnare il comportamento omissivo della p.A. protrattosi oltre il termine conclusivo senza necessità di previa diffida; dall’altro, generalizzato l’applicazione dell’istituto del silenzio-assenso, in tutti i casi in cui la p.A. non emani, entro il termine stabilito, un provvedimento espresso... (segue)