
L’avvio di una riflessione sulla dimensione europea delle politiche agricole, pur nella consapevolezza della diversità dei significati da attribuire agli aggettivi comunitario ed europeo, soffre della difficoltà determinata dall’osservazione secondo la quale, forse più ancora di quanto non si possa dire per la disciplina della concorrenza, le politiche agricole, dopo il Trattato di Roma, non hanno avuto altra dimensione, se non quella europea; sicché forte è il rischio di venir sopraffatti dal timore della ridondanza di qualsiasi tentativo teso a fornire argomenti idonei a giustificare la rilevanza della influenza, invero mai posta in discussione, che le regole elaborate in sede comune in materia di agricoltura hanno esercitato ed esercitano negli ordinamenti interni e nei territori dei singoli paesi membri. E’ a tutti noto, infatti, che già nella versione originale del Trattato di Roma, la instaurazione di una politica comune nel settore dell’agricoltura fosse ritenuta necessaria per il perseguimento degli obbiettivi che l’art. 2 assegnava alla Comunità, e che il processo di implementazione di una politica agricola comune fu sviluppato in tempi sufficientemente rapidi. D’altro canto, considerate le peculiarità e le ineliminabili condizioni di intrinseca debolezza del settore primario, la scelta, nient’affatto scontata, di sottoporre alle regole del mercato comune l’agricoltura e il commercio dei prodotti agricoli veniva resa possibile soltanto grazie alla previsione secondo la quale “il funzionamento e lo sviluppo del mercato comune per i prodotti agricoli devono essere accompagnati dall’instaurazione di una politica agricola comune degli Stati membri” (art. 38, co. 4), della quale il Trattato non mancava di individuare (art. 39), in maniera analitica, le finalità, in un elenco che comprende l’incremento della produttività, attraverso lo sviluppo del progresso tecnico e l’impiego migliore dei fattori della produzione; l’assicurazione di un tenore di vita equo alla popolazione agricola, grazie al miglioramento del reddito degli agricoltori; la stabilizzazione dei mercati; la sicurezza degli approvvigionamenti; l’assicurazione di prezzi ragionevoli per i consumatori. E alla quale, in definitiva, veniva delegato il funzionamento del mercato interno, così come si desume dall’art. 38, co. 2, ai sensi del quale le norme previste per l’instaurazione del mercato comune sono applicabili ai prodotti agricoli “salvo contrarie disposizioni degli articoli da 39 a 46 (ora 44) inclusi”... (segue)