
La crisi che oggi minaccia le istituzioni europee, e con esse l’idea stessa di Europa come entità che proceda dal superamento degli Stati nazionali, è di natura precipuamente politica. È bensì vero che, nella percezione immediata dei cittadini e dei governi, vengono in rilievo soprattutto gli eccessivi squilibri tra modelli economici: quello dei Paesi che fondano la crescita sulle esportazioni, e che dunque intendono continuare ad affrontare la competizione internazionale da posizioni di forza, versus quello dei Paesi che ormai sono in una severa spirale recessiva, nella quale – costretti a draconiani piani di risanamento dei bilanci senza poter finanziare la crescita né stimolando l’incremento della domanda interna, né attraverso il credito agli investimenti privati, né attraverso il finanziamento di iniziative pubbliche in opere e servizi – sono nell’impossibilità di porre in essere misure anticicliche. Anzi sono astretti a irrigidire in regole di livello costituzionale il vincolo a produrre misure pro-cicliche. Ed è altresì vero che diviene quanto mai urgente una correzione in termini economici, attraverso il reperimento su scala europea, per decisione di un centro di comando “federale”, delle risorse necessarie a finanziare gli investimenti. Ma, se tutto ciò è vero, e impone determinazioni improcrastinabili, non può tuttavia non trovare conferma il convincimento che nessun processo costituente può essere illimitato... (segue)
In dottrina si discute da tempo sulla possibilità di utilizzare la nozione di forma di governo per i livelli territoriali diversi da quello statale. La risposta a tale questione risulta, invero, di non poca complessità: essa, probabilmente, richiede un approccio distinto per... (segue)