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NUMERO 3 - 11/02/2015

 Quali macroregioni e con quale Costituzione?

 L’istituzione delle macroregioni non costituisce un argomento nuovo per il dibattito scientifico e istituzionale. Già pochi anni dopo la loro istituzione, si accese una discussione sulla razionalizzazione delle Regioni (cfr., ad esempio, le riflessioni della Fondazione Agnelli e di Gianfranco Miglio) e ciò si giustifica in particolare con le scelte che accompagnarono la definizione degli originari confini al momento della scrittura della Costituzione. Come noto, al netto della vicenda di alcune Regioni ad autonomia speciale, all’atto della elencazione costituzionale delle Regioni (nell’art. 131), l’Assemblea costituente aderì alla tesi dell’impiego dei criteri territoriali (leggermente corretti) impiegati per le circoscrizioni statistiche. Un metodo del tutto lontano dalla definizione di optimal size e tantomeno capace di descrivere ambiti culturali o storici ben definiti. Confini, dunque, che già da allora ben potevano essere oggetto di revisione sia per il mutare delle condizioni sociali, economiche ed infrastrutturali del Paese sia per il fatto che la Costituzione conteneva plurimi indizi che individuano già ambiti e interessi sovraregionali quali il mezzogiorno (così l’art. 119 originario) e il paesaggio (ex art. 9 Cost.). D’altronde la nascita della Regione Molise, per separazione dall’Abruzzo (rectius Abruzzi) con la legge cost. 27 dicembre 1963, n. 3, ha rappresentato una conferma della politicità dei criteri assunti per la delimitazione territoriale delle Regioni considerato il ridotto numero degli abitanti del nuovo ente: circa trecentomila ossia un terzo del limite minimo – pari ad un milioni di abitanti – di cui all’art. 132, comma primo, Cost.. A ciò si aggiunga che i meccanismi di modifica dei confini regionali originariamente descritti in Costituzione prevedevano si l’ipotesi della fusione, ma erano per di più orientati in realtà alla creazione di nuove Regioni o alla modifica puntuale dei confini attraverso lo spostamento di enti locali da una Regione all’altra. La IX disposizione finale e transitoria prevedeva: “fino a cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si possono, con leggi costituzionali, formare altre Regioni, a modificazione dell’elenco di cui all’art. 131, anche senza il concorso delle condizioni richieste dal primo comma dell’articolo 132, fermo rimanendo tuttavia l’obbligo di sentire le popolazioni interessate”. L’originario art. 132 Cost., infatti, prevedeva che si potesse “con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d’abitanti, quando ne facciano richiesta tanti consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse”; il secondo comma del medesimo articolo infine prevedeva si potesse “con referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra”. Fino al 2001, in ogni modo, il dibattito sulle macroregioni non poteva tener conto di alcune norme costituzionali che oggi invece cambiano in parte la discussione sul tema: le modifiche apportate al comma secondo dell’art. 132 e la previsione di cui all’art. 117, comma 8, Cost. relativa alle intese che le Regioni possono tra loro adottare (e ratificare con legge) per il migliore esercizio delle proprie funzioni anche attraverso l’istituzione di organi comuni. All’art. 132, infatti, al comma secondo, è stato specificato che occorre “l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum” affinché “con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione e aggregati ad un’altra”... (segue)



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