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NUMERO 13 - 01/07/2015

 Appunti per uno studio sulla dimensione funzionale dei doveri pubblici

Emerge, in questi ultimi anni, una rinnovata attenzione della dottrina per il ruolo e la funzione dei doveri inscritti nel testo costituzionale, e collocati entro un paradigma correlato, quando non addirittura contrapposto, a quello dei diritti.  Si rileva, infatti, che questi ultimi non potrebbero in alcun modo essere garantiti senza il rispetto di un nucleo consistente di doveri, i quali costituiscono in certo modo l’essenza dell’obbligazione politica e il presupposto primario della convivenza civile, in stretta connessione con il pervadente principio di solidarietà, e, ancor prima, con  quel concetto di fraternité che ispirò la cultura rivoluzionaria francese, insieme a quelli di libertà ed eguaglianza. Si rileva altresì la limitata attenzione tradizionalmente dedicata dai costituzionalisti italiani a un tema che, pure, trova numerosi riscontri nel testo della Carta del 1948, a partire dall’art.2, che affianca i “diritti inviolabili” a “doveri inderogabili”; tale negligenza sarebbe peraltro dovuta alla natura impervia del tema stesso, un po’ “scomodo”, scarsamente attrattivo e sottilmente inclinato verso un’impostazione illiberale della complessiva forma dello Stato. In effetti, molte di queste considerazioni hanno un loro fondamento: e dunque, data l’importanza del paradigma dei doveri costituzionalmente sanciti, sarà opportuno svolgere, almeno come primo approccio, qualche considerazione per una rilettura del medesimo in chiave sistemico-funzionale. Certamente, il costituzionalismo moderno non nasce, per sé, come strumento di imposizione di doveri: all’opposto, la tradizionale concezione dello stesso (e delle costituzioni che faticosamente se ne generano lungo oltre due secoli), che lo pone piuttosto come processo di affrancamento degli individui dal potere, nonché come complessiva affermazione della libertà sull’autorità, ha una sua profonda veridicità storica. E tuttavia, l’intima connessione tra cittadinanza e doveri pubblici è sempre stata in primo piano nella riflessione politica: già Aristotele indicava la pòlis come la più elevata comunità cui l’individuo doveva dedicare se stesso, in definitiva rendendosi a questa funzionale in una prospettiva schiettamente olistica, e il Cicerone del De officiis poneva i doveri al centro dell’attenzione dei suoi contemporanei come freno alla decadenza dei costumi e fondamento del vivere civile, in una visione intrinsecamente etica dell’esistenza individuale.  In seguito, il tema dei doveri, inteso come espressione del valore della virtù civica, attraverserà l’intera storia della cultura politica occidentale, dal patto feudale alla prospettiva del contrattualismo moderno, fino alla recente rinascita di un “repubblicanesimo” inteso come via mediana tra liberalismo e comunitarismo nella scienza politica di area statunitense degli ultimi decenni, o al pur confuso (e contraddittorio) concetto di un “patriottismo costituzionale” che dovrebbe operare, in un’epoca di grande eterogeneità ideologica e culturale, anzitutto come momento di coesione della collettività orientata a una positiva e non conflittuale convivenza, integrando le diversità alla luce dei valori sanciti da una costituzione pluralista. In tal senso, tuttavia, una riflessione più realistica deve svelare alcune implicazioni talvolta dissimulate sotto la rassicurante dimensione dell’utopia discorsiva: ogni singola costituzione è, in sé, il luogo di definizione di opzioni assiologicamente connotate, anche (e forse soprattutto) laddove si ponga come momento di sintesi della pluralità sociale e abbia come fine l’integrazione inclusiva: e, per quanto qui ci interessa, essa, ponendo tali scelte come vincolanti, impone al contempo un nucleo di doveri che si affianca a quello dei diritti che, nelle sue varie declinazioni, tradizionalmente è, come detto, l’essenza delle costituzioni moderne.  Volendo essere più espliciti, anche dietro una costituzione di stampo liberaldemocratico, e orientata a un fine di integrazione politica in senso pluralistico, si cela, dissimulata e contenuta ma non superata, la natura coercitiva del potere, quella hybris che da sempre sostanzia il fenomeno giuridico come processo di legittimazione concreta dell’esercizio esclusivo della forza materiale... (segue)



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