L’entrata in vigore del “Codice della giustizia contabile” sta producendo i suoi primi effetti: quello che si dimostra più interessante tra tutti è dato dalla ricerca sistematica, che la stessa Corte dei conti si sta impegnando a fare, della qualificazione giuridica che è da assegnare alle decisioni assunte dagli organi (a diversi livelli), contribuendo a fornire un quadro sempre più chiaro e preciso del ruolo svolto da esso nei punti di contatto che ci sono tra controllo e giurisdizione. All’identificazione linguistica dei “prodotti” (deliberazioni, in prima istanza; sentenze, in seconda e unica istanza), che si riconnettono allo svolgimento della funzione di controllo, comunque, corrisponde l’attribuzione di una specifica natura, con tutte le conseguenze che da essa si fanno discendere dovendole trarre dal ricorso ai principi generali dell’ordinamento (area processualistica). In sostanza, nella misura in cui il Legislatore ha inteso assicurare al sistema delle Autonomie locali, nei confronti della Corte dei conti, uno spazio di “protesta”, rectius, di “dissenso ragionato”, a mezzo del ricorso all’istituto dell’ impugnazione, in questo stesso momento si sono poste le condizioni-base per una rilettura della natura della funzione del controllo indipendente esterno quale è quello esercitato dalla Corte dei conti e dai suoi magistrati che svolgono tale specifica attività. Sistema che si articola, come in tutti i Paesi a democrazia avanzata, su una tipologia differenziata di contenuti (tecniche e metodi), in ragione del parametro di giudizio che si ritenga di dover applicare da parte del magistrato contabile addetto al controllo. D’altra parte, non si può continuare a pensare – come è avvenuto per diversi decenni – che le decisioni assunte dall’Istituzione superiore di controllo restino semplici “proclami”, o, se mai, costituiscano materiale utile a generare o alimentare movimenti culturali di dissenso o di protesta, o, quando il “quarto potere” ritenga opportuno recuperarne i contenuti per i suoi scopi, a fargli assumere toni scandalistici. All’auspicabile autocorrezione dei conti, sia pure esercitata con atteggiamenti di insofferenza o venati di ritrosia, dei decisori politici, sollecitata dagli esiti non sempre positivi delle indagini svolte dalla Corte dei conti, non ha creduto per molto tempo nessuno: il tutto era (ed è stato) coperto, per decenni, da spessi veli di ipocrisia istituzionale. La dichiarata impotenza (molte volte espressa dai decisori politici) ad assumere decisioni coerenti con lo spirito delle leggi, a causa di burocrazie inefficienti o non collaboranti, non ha sortito l’effetto positivo che ci si era promessi di conseguire: la struttura dei bilanci, che avrebbe dovuto risultare più vicina alla verità dei fatti, continua a vivere in situazioni di opacità. Ci si ritrova, peraltro, da parte della Corte Costituzionale, a prendere in esame una legislazione regionale che continua, in maniera del tutto ipocrita, a ritenere che i vincoli di spesa posti dalla legge statale possano rientrare nella sfera di propria competenza; e ciò si verifica nonostante il chiaro dettato costituzionale. Fino al punto di assistere a comportamenti omissivi del Governo a fronte di violazioni pacchiane dei principi costituzionali posti in essere dalle Regioni... (segue)
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