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NUMERO 20 - 25/10/2017

 La responsabilità disciplinare della magistratura amministrativa

Montesquieu, Voltaire, Beccaria, Pietro Verri e Filangieri, con i loro dogmi illuministi della chiarezza e certezza del diritto e del divieto di interpretazione da parte dei giudici, potrebbero oggi apparire dei marziani in un mondo diverso e sconosciuto. Eppure, nonostante il buon lavoro di Portalis e l’eliminazione dell’istituto del référé législatif, ossia del ritorno al legislatore per l’interpretazione dubbia, già con il Code Napoleon, il mito del giudice bouche de la loi è sopravvissuto a lungo, persino fino ai nostri giorni. Certamente tutta l’evoluzione storica degli ordinamenti giudiziari è stata caratterizzata dall’inevitabile bilico tra indipendenza e soggezione della magistratura al potere esecutivo e già Lodovico Mortara, nel denunciare nel 1885 questo ultimo rischio, proponeva la creazione di un Consiglio Superiore di Giustizia composto in modo paritario da deputati, senatori, consiglieri di cassazione civile e di cassazione penale, e presieduto dal ministro, con ciò prevedendo « un punto di congiunzione fra i tre rami della sovranità ». Questi brevi cenni, sono già sufficienti per ricordare che nel tempo si è sviluppata inevitabilmente una duplice natura della giurisdizione: come potere o ordine, nell’equilibrio con gli altri poteri, e come funzione, nei confronti dei risultati dello juris dicere e dei cittadini. Ma è al rapporto tra il giudice e la legge che occorre tornare per interrogarci sugli esiti delle trasformazioni storiche che hanno investito la magistratura. Si può ancora oggi sostenere che la legge è chiara e l’ordinamento giuridico positivo, pur integrato dagli istituti di origine dottrinaria e giurisprudenziale, garantisca certezze? Non è necessaria un’approfondita indagine per concludere nel senso opposto. L’ordinamento giuridico pubblico è attraversato da una crisi di in/decisione anche a causa della presenza, ‘nella’ decisione pubblica, di troppi attori. Il tema è stato affrontato funditus da molti autori e un’ampia rassegna di posizioni è rinvenibile nel bel libro di Barbara Giuliani, ove sono state poste a confronto le teorie della new public governance con il diritto amministrativo nel campo specifico del governo del territorio. Qui è sufficiente notare che l’attuale complessità del procedimento decisionale si fonda, inter alia, su tre ordini di ragioni: a) la cosiddetta multilevel governance, dai regolamenti comunali a quelli del diritto europeo, passando per la legislazione primaria statale e regionale; b) dalla forte spinta partecipativa che tende a rimettere in discussione la decisione politica, a rinegoziare in permanenza gli interessi, a contrattare il merito e le forme di attuazione delle decisioni attraverso moduli negoziali di diritto privato; c) dal controllo giurisdizionale di legalità che attraverso il giudice amministrativo ma anche attraverso il potere ad libitum di “disapplicazione” del giudice penale, sottopone a “revisione” gran parte delle decisioni, con performance non sempre fisiologiche e coerenti con le necessità. Il quadro appena delineato può essere sufficiente per rilevare che il giudice, già protagonista nei sistemi anglosassoni basati sul due process of law e nella stessa creazione del diritto globale, ha in effetti acquistato un accresciuto e spesso enorme ruolo nella creazione del diritto e delle decisioni pubbliche, con ciò infrangendo, o scalfendo, il principio stesso della superiorità della legge (e del legislatore). Secondo autorevole dottrina la teoria classica dello Stato liberale, si fonda su due precondizioni, e sta e cade con esse. In primo luogo, « richiede che la legge non solo contenga norme generali, cioè rivolte ad una pluralità indeterminata di soggetti, e astratte, ossia rivolte a disciplinare stabilmente nel tempo i comportamenti futuri, ma anche e soprattutto presuppone che la legge sia costituita da comandi chiari, completi e facilmente interpretabili. In secondo luogo, presuppone che la funzione del giudice non consista che in un’operazione, pressoché meccanica, di trasformazione e adattamento a una particolare controversia di ciò che è stato deciso in via generale dalla legge, secondo l’insegnamento di Montesquieu, il quale nel giudice null’altro vedeva se non “la bocca che pronuncia le parole della legge” l’irrealismo di queste due precondizioni è ormai un dato pacificamente acquisito alla cultura contemporanea, non solo giuridica. La questione si presta ad ampia disquisizione ma, per ciò che qui interessa, è sufficiente osservare che ad un accresciuto ruolo del giudice nella società, che si accompagna alla crescita di poteri discrezionali, non può corrispondere una reazione basata sull’assoggettamento gerarchico del giudice dell’esecutivo ma, piuttosto, nei delicati equilibri dell’ordinamento democratico, una corrispondente accentuazione degli obblighi di competenza professionale e di responsabilità civile, disciplinare ed etica. Le pagine che seguono sono dedicate ai profili, ricostruttivi e propositivi, della responsabilità disciplinare dei magistrati amministrativi che sono peraltro investiti a pieno del cennato fenomeno di valorizzazione del loro ruolo, come abbiamo visto nelle pagine che precedono. È vero che ad un accresciuto ruolo nella società deve corrispondere un’accresciuta e più qualificata responsabilità del magistrato a partire da quella disciplinare, nei confronti dei risultati e delle condotte.  Come è stato opportunamente osservato, il sistema della responsabilità disciplinare trae il fondamento non in una “supremazia speciale” dello Stato nei confronti dei propri dipendenti, ma in « valori e finalità ancor più rilevanti rispetto ad altre categorie di lavoratori o di professionisti e che si sostanziano nell’esigenza di controllare il corretto esercizio della funzione giudiziaria e di garantire la qualità della giustizia, senza però ledere o interferire con l’indipendenza dell’esercizio della funzione stessa o determinare un “conformismo giudiziario” che ingesserebbe l’evoluzione giurisprudenziale nelle strette maglie di comportamenti giuridicamente imposti »... (segue)



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