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In due recenti pronunce della Corte costituzionale, le nn. 120 e 194 del 2018, alcune delle norme della Carta sociale europea riveduta (CSE) sono state considerate, per la prima volta, fra i parametri interposti di legittimità costituzionalità della legge. Le due decisioni sono senz’altro innovative sul piano delle fonti del diritto perché (al di là dei profili strettamente legati alle singole fattispecie) collocano le norme CSE in posizione sub-costituzionale e le equiparono alle norme CEDU. Per quest’ultime le sentenze “gemelle” 348 e 349 del 2007 avevano già riconosciuto l’idoneità a essere ammesse fra i parametri interposti di legittimità costituzionale della legge, per verificare la compatibilità dell’ordinamento interno agli obblighi internazionali contratti (ai sensi dell’art. 117, comma 1 Cost.). Invece, per le norme CSE la Corte costituzionale non aveva ancora “sciolto la riserva”. Come si evince dalla lettura delle pronunce analizzate, le poche occasioni ove le norme CSE sono entrate nel processo costituzionale riguardano gli atti introduttivi dei giudizi a quibus o i richiami operati negli atti di intervento delle associazioni sindacali. Più raramente le norme CSE sono entrate nel processo costituzionale come parametro invocato dal giudice a quo nell’ordinanza di rinvio. Peraltro, il riferimento alle norme CSE ha avuto la finalità principale di “rafforzare” l’interpretazione circa la compatibilità costituzionale della normativa impugnata, la quale è stata valutata (però) alla stregua di altri parametri, anche interposti, di legittimità costituzionale. In ragione dello status assunto dalle norme CSE nella giurisprudenza della Corte costituzionale, la dottrina ha giustamente parlato di “trascuratezza” dei giudici a quibus e, sul piano delle fonti del diritto, di “aporia” di diritti riconosciuti a livello internazionale ma “negletti” sul piano nazionale e costituzionale. La CSE è stata quindi definita emblematicamente “Carta di serie B” o “Cenerentola” rispetto alla “più fortunata” CEDU. Peraltro, il trend “di trascuratezza” non è mutato nemmeno dopo la revisione dell’art. 117, comma 1 Cost. ex lege 3 del 2001, la quale ha segnato nell’ordinamento italiano, sul piano del raccordo fra le fonti del diritto interno e le fonti del diritto convenzionale esterno, un “prima e un dopo” per cui: «Se prima non vi era un obbligo giuridico di dare attuazione agli accordi (fatta salva la responsabilità dello stato sul piano internazionale), oggi i vincoli rinvenienti dall’adesione all’Unione europea e dalla sottoscrizione dei trattati si traducono in parametri di sindacabilità costituzionale». Il punto che ictu oculi sembra risolto con le sentenze nn. 120 e 194 del 2018 è che le norme CSE possono essere incluse (e quindi invocate dagli stessi giudici a quibus) fra i parametri interposti di legittimità costituzionale. Purtuttavia alcune precisazioni nelle due sentenze testè richiamate paiono indicare dei “limiti” alla loro innegabile portata innovativa, che nel corso del presente contributo si cercheranno di mettere in evidenza… (segue)
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