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NUMERO 10 - 22/05/2019

 La Svezia e le elezioni europee

La forma politica svedese è di tipo monarchico costituzionale. Questo dato accomuna la Svezia agli altri Paesi nordici, ad eccezione della Finlandia. Naturalmente, al pari delle altre esperienze monarchiche europee, la forma svedese si è da tempo democratizzata, trasformandosi in una monarchia parlamentare, tipicamente caratterizzata da una fonte di legittimazione indiretta dell’esecutivo, che, attraverso il rapporto fiduciario, poggia sulla rappresentanza democratica nazionale. A partire dal 1975, anno a cui risalgono le quattro Leggi fondamentali che compongono la costituzione svedese, la tendenza alla parlamentarizzazione del regime è definitivamente sfociata in un radicale ridimensionamento dei poteri del monarca, i quali oggi sono purtamente cerimoniali. Infatti, i poteri una volta di sua spettanza, tra i quali spiccano la nomina del governo e lo scioglimento del Riksdag, l’assemblea parlamentare nazionale, gli sono stati sottratti anche sul piano formale. Il potere di nomina del Primo ministro spetta infatti al Presidente dello stesso Riksdag, mentre la nomina e la revoca dei singoli ministri è di competenza del Primo Ministro, salva la espressa previsione della mozione di sfiducia individuale da parte dell’assemblea. Il potere di scioglimento è anch’esso nelle mani del Primo ministro, che può esercitarlo anche se sfiduciato. La forma di governo svedese è quindi fortemente razionalizzata, ove il termine di razionalizzazione rinvia a tutti quei congegni tesi a rafforzare l’efficienza e la stabilità dell’esecutivo, pur rimanendo entro i margini della forma di governo parlamentare.  Oltre agli elementi già citati, va aggiunto che il voto di fiducia è espresso dal Riksdag nei confronti del solo Primo Ministro, che quindi non è un semplice presidente di organo collegiale, ma un capo di governo in senso stretto, dotato anche dei poteri di nomina e di revoca dei ministri. Inoltre, sempre finalizzate a favorire la formazione e la stabilità del governo, emergono quelle disposizioni costituzionali, per le quali la fiducia si intende accordata se non è espresso nei confronti del Primo Ministro il voto contrario della maggioranza assoluta dell’assemblea. La Costituzione ammette dunque la possibilità che si formino governi di minoranza. L’esecutivo svedese, quindi, può anche non costituire piena emanazione della compagine parlamentare, o almeno della maggioranza di essa. Ciò spiega per quale motivo questo tipo di assetto sia stato ricondotto dalla dottrina alla efficace nozione di “parlamentarismo negativo”. Tale nozione sta a indicare la posizione più di controllo che di indirizzo assunta dai parlamenti, e da quello svedese in particolare, nell’articolazione odierna delle dinamiche istituzionali. Allo stesso tempo, sempre la nozione di “parlamentarismo negativo” sembra ben evocare la posizione di relativa indipendenza del potere esecutivo dai canali della legittimazione politico parlamentare. Il meccanismo della “non sfiducia”, infatti, si presta a veicolare una istanza di stabilità che si compone, limitandola, con la concorrente istanza di legittimazione democratica dell’esecutivo, che – è appena il caso di aggiungere - non può essere comunque messa da parte… (segue)



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