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NUMERO 13 - 03/07/2019

 Gli enti locali innanzi a leggi lesive della loro autonomia ed attribuzioni. La sentenza Corte Cost. n. 33/2019 per l’accesso in Corte e l'effettività della tutela degli enti locali

Di tanto in tanto si ripropone con forza il tema della possibilità da parte dei Comuni di contestare innanzi alla Corte Costituzionale una legge statale - o regionale - lesiva della loro autonomia ed attribuzioni.  Non è infrequente, infatti, che una legge statale sia direttamente lesiva dell’autonomia comunale: ad es. per la riduzione delle imposte comunali, o per imporre particolari obblighi di gestione dell’attività amministrativa limitativi della autonomia degli enti locali. Alcuni mesi fa, ad esempio, il decreto sicurezza n.113/2018 è stato apertamento contestato da diversi Comuni, in particolare quelli di Palermo e Napoli, in quanto - limitando il permesso di soggiorno per motivi umanitari - incideva direttamente sulla gestione di immigrati ubicati nel territorio comunale. Da più parti si era levata la voce del contrasto con le norme costituzionali inerenti ai diritti fondamentali della persona ed al diritto di asilo, ma venivano sollevate anche questioni concrete in riferimento al divieto di iscrizione anagrafica per i titolari di permesso di soggiorno in attesa di ottenere asilo. Come noto, ai sensi dell’art.127 della Costituzione - di disciplina dei ricorsi in via principale innanzi alla Corte Costituzionale - non sussiste la possibilità per gli enti locali di far valere direttamente di fronte alla Corte la lesione della propria sfera di autonomia nei confronti della legislazione statale e di quella regionale, nonostante l’ ‟equiordinazione” dei Comuni, delle Province (e delle Città metropolitane) agli altri soggetti istituzionali (Stato e Regioni) costitutivi della Repubblica, stabilita dal nuovo art. 114 Cost. Sicchè l’ente locale deve previamente adire il giudice civile o amministrativo ed in quella sede chiedere al giudice di sollevare la questione di legittimità costituzionale in modo da aprire un giudizio innanzi alla Corte Costituzionale avverso la legge contestata. Di recente uno spunto interessante è pervenuto dalla sentenza Corte Costituzionale n. 33 del 2019. Il Tar Lazio aveva sollevato la questione di legittimità del d.l. n.78 del 2010 (art.14, commi da 26 a 31) conv. in legge n.122/2010 avente ad oggetto misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, come modificato dal d.l. n.95/2012, sulla revisione della spesa pubblica. Le norme contestate elencano le funzioni fondamentali dei comuni e pongono l’obbligo per i comuni fino a 5.000 abitanti di esercitarle in forma associata mediante unione di comuni o convenzione; demandano inoltre alle regioni l’individuazione della dimensione territoriale ottimale per il predetto esercizio associato. Il ricorso al Tar Lazio era stato promosso da cinque comuni campani avverso la circolare del Ministero dell’Interno n.323/2015 ai Prefetti di procedere a ricognizione e diffidare i comuni inadempienti. I ricorrenti avevano chiesto di accertare di non essere obbligati all’esercizio in forma associata e l’annullamento della suddetta circolare ministeriale. Per quanto concerne l’ammissibilità e rilevanza delle questioni, la Corte ribadisce il rapporto di pregiudizialità che deve intercorrere fra le questioni di legittimità costituzionale sollevate e la decisione del ricorso. Nel caso di specie, dolendosi i Comuni di disposizioni inerenti all’obbligo di esercizio di alcuni servizi in forma associata, solo tali norme impositive accedono al giudizio di costituzionalità; al contrario, ne restano fuori le norme che elencano le funzioni fondamentali dei comuni, il cui scrutinio non appare necessario rispetto alla domanda posta nel giudizio principale. Ma la questione di maggiore interesse concerne la domanda di accertamento negativo dell’obbligo di gestione associata - unitamente a quella di annullamento della circolare - in guisa che il giudizio promosso possa avere o meno come unico motivo di ricorso proprio la illegittimità costituzionale delle norme lesive. Sul punto la Corte, richiamando la sentenza n.1/2014, statuisce “…la circostanza che la dedotta incostituzionalità di una o più norme costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione di legittimità costituzionale”. E’ il caso di ricordare, seppure in sintesi, la portata della citata pronuncia n.1/2014… (segue)



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