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NUMERO 14 - 17/07/2019

 Con quattro pronunce dei primi mesi del 2019 la Corte costituzionale completa il suo rientro nel sistema 'a rete' di tutela dei diritti in Europa

L’oggetto di questo contributo si è progressivamente ampliato, man mano che si approssimava la data del seminario. Originariamente, il contributo si sarebbe dovuto incentrare esclusivamente sulla sentenza n. 20 del 2019: una pronuncia a lungo meditata in seno alla Corte costituzionale, originata da un’ordinanza del TAR Lazio, in tema di riservatezza dei redditi dei dirigenti pubblici. Si è poi aggiunta la sentenza n. 63 del 2019: in tema di retroattività delle sanzioni CONSOB, che ha tratto origine da un’ordinanza della Corte d’appello di Milano. Si tratta, in entrambi i casi, di sentenze di accoglimento, che vengono qui in rilievo, in un seminario dedicato alle forme di accesso alla giustizia costituzionale, essenzialmente in quanto contengono importanti passaggi, in sede di valutazione di ammissibilità delle relative questioni, nei quali la Corte costituzionale ha avuto modo di ribadire, nella sua direzione di fondo, e di precisare, per alcuni importanti aspetti, l’assai discusso obiter dictum collocato nella sentenza n. 269 del 2017: un obiter in cui la Corte ha offerto un inquadramento per più versi innovativo – rispetto ad orientamenti consolidatisi da almeno un paio di decenni nella giurisprudenza costituzionale – dei rapporti con i giudici comuni nell’applicare il diritto dell’Unione europea, in particolare ogniqualvolta venga in questione il rispetto di un diritto garantito dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ancora più di recente, l’oggetto di questo contributo si è ulteriormente esteso, con l’inclusione altresì della sentenza n. 102 del 2019 e dell’ordinanza n. 117 del 2019, entrambe derivanti dalla medesima ordinanza di rimessione della Cassazione, II sez. civile (la n. 3831, su cui si tornerà infra, nel par. 5), relativa ad un procedimento di applicazioni di sanzioni per insider trading da parte della CONSOB. Con la prima, la Corte costituzionale ha accolto la questione di costituzionalità relativa alla disciplina dell’art. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 – sia nel testo introdotto n. 62 del 2005, sia, in via consequenziale, nella versione risultante dalle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 107 del 2018, n. 107 – nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell’illecito (e, in nel primo caso, altresì dei beni utilizzati per commetterlo), anziché non del solo profitto. Con la seconda, la Corte costituzionale ha sollevato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, domandando se l’attuale disciplina europea consenta agli Stati membri di tutelare il c.d. diritto al silenzio (anche noto come principio del nemo tenetur se ipsum accusare, o con formule analoghe) anche nel procedimento di applicazione delle sanzioni CONSOB; e, in caso contrario – ove cioè tale diritto non sia ritenuto tutelabile per effetto della disciplina europea, se quest’ultima sia compatibile con gli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’art. 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. In entrambe le pronunce la Corte costituzionale è giunta a queste soluzioni dopo aver ripreso e ulteriormente precisato l’orientamento inaugurato con il suddetto obiter dictum e applicato, come si è detto con qualche precisazione, nelle due sentenze n. 20 e n. 63 del 2019. Da un lato, queste estensioni dell’oggetto del contributo rendono evidentemente ancora più difficile il mio compito, già non facile visto che sono stato chiamato ad affrontare, attraverso le suddette pronunce, alcuni temi-chiave della giustizia costituzionale e snodi assai delicati dei rapporti tra ordinamento italiano e ordinamento dell’Unione europea: ossia della Costituzione “composita” quo utimur, per come inverata e interpretata – specie riguardo alla garanzia dei diritti fondamentali – nel “dialogo tra i giudici”. A maggior ragione, poi, visto che, come si accennava, tutte le pronunce richiamate sono state già oggetto di numerosi e significativi commenti, a loro volta collocati all’intenso dibattito che è sorto sugli snodi suddetti, con una varietà di posizioni spesso anche radicalmente divergenti nella valutazione del nuovo orientamento della giurisprudenza costituzionale che così si è venuto a delineare. Dall’altro, però, l’ordinanza n. 117 del 2019 ha finito, almeno nell’ottica qui prescelta, per agevolare decisamente la lettura anche delle altre pronunce, soprattutto nella chiave, adottata in questo seminario, della manutenzione – come si dirà meglio tra un attimo, della “auto-manutenzione” – delle vie di accesso alla Corte costituzionale. E, a mio avviso, ha altresì fornito risposte piuttosto efficaci e nel complesso tranquillizzanti alle principali preoccupazioni che erano state suscitate dall’obiter dictum di cui alla sentenza n. 269 del 2017. Oltre a confermare un approccio collaborativo, ma attivo e a volte anche critico, al sistema “a rete” di tutela dei diritti che si è ormai delineato nell’ambito dell’Unione europea… (segue)



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