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NUMERO 18 - 02/10/2019

 Quale dialogo tra le Corti?

L’espressione “dialogo tra le Corti” ha trovato, negli ultimi anni, un larghissimo impiego nelle riflessioni dei costituzionalisti e degli studiosi del diritto dell’Unione europea in particolare. La stessa Corte costituzionale ha utilizzato tale termine per definire sia i propri rapporti con la Corte di Giustizia, nella sent. n. 269 del 2017 e nella più recente decisione n. 117 del 2019, sia quelli con la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sent. n. 49 del 2015. Essa ha fatto ricorso proprio all’espressione “dialogo tra le Corti” per sottolineare l’esigenza di una cooperazione tra i diversi “attori” coinvolti nella tutela multilivello dei diritti. Eppure, nella progressiva definizione di un modello sempre più articolato, non mancano zone d’ombra e nodi interpretativi ancora da sciogliere, anzitutto, e in una prospettiva generale, poiché il termine “dialogo” (dal latino dialŏgus, dal greco διάλογος) significa, come è a tutti noto, “discorso o colloquio fra due o più soggetti” e, dunque, implica una relazione. La prima questione da chiarire allora è quali siano i soggetti di tale relazione: sicuramente la Corte costituzionale, la Corte di Giustizia, la Corte europea dei diritti e il Comitato sociale europeo (a cui pure – nelle pagine che seguiranno – non potrà essere dato adeguato spazio), ma anche – ed è importante sottolinearlo – le giurisdizioni comuni, che hanno un ruolo centrale soprattutto nel dare impulso al “dialogo” fra i quattro menzionati organi. In secondo luogo, è necessario definire che cosa si debba intendere per “dialogo”, se, cioè, esso vada riferito solo alla possibilità di ricorrere agli istituti giuridici appositamente creati per instaurare una relazione diretta tra organi giudiziari, oppure ricomprenda anche il confronto che in vario modo tra loro i crea “a distanza”. È evidente, infatti, che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia costituisce strumento principe di dialogo tra organo nazionale e organo europeo, ma il confronto avviene – spesso in modo più pregnante – anche quando gli organi giurisdizionali qui individuati si confrontano, nelle proprie decisioni, con la giurisprudenza di un altro organo, o perché sono costretti a farlo (quando, ad esempio, il giudice nazionale italiano evoca l’art. 117, primo comma, Cost. per violazione di un parametro convenzionale) o perché quella giurisprudenza serve a nutrire l’argomentazione. Infine, ci si deve chiedere, ancora una volta, perché ragionare di un dialogo: serve davvero un confronto nella tutela dei diritti? E per il perseguimento di quali finalità? La Corte costituzionale, nella già citata sent. n. 269 del 2017, ha ritenuto che il dialogo debba essere attivato «affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE)», quasi ad evocare il “meta-principio” del massimo standard di tutela. In realtà – data per acquisita l’esistenza di un sistema di tutela “multilivello” (o, più correttamente, “composito”) dei diritti, qui inteso come possibilità che un diritto fondamentale possa trovare garanzia presso diversi organi nazionali e sovranazionali non necessariamente classificati quanto ad intensità di tutela (nel senso che non è affatto detto che un diritto sia tutelato dalla Corte europea più di quanto non lo sia dinnanzi alla Corte costituzionale) – si vuole qui provare ad evidenziare come il dialogo sia spesso necessario non tanto e non solo per “innalzare” il livello di tutela dei diritti, quanto per restituire coerenza a questo sistema e dunque per assicurare al cittadino una maggiore prevedibilità rispetto ai contenuti del diritto che egli, nelle varie sedi, rivendica (esigenza, questa, che trova il più limpido esempio in materia penale, ma che, in realtà, incide su tutti i rapporti giuridici). Ovviamente, il dialogo – perché sia veramente un confronto – richiede saggezza e cautela in ciascuno degli organi coinvolti nel sistema di tutela dei diritti, i quali devono svolgere il proprio giudizio nei limiti loro sono assegnati, senza sconfinamenti. In caso contrario, il dialogo è solo apparente e, pur presentandosi nelle vesti di un confronto, si traduce in una rivendicazione di spazi di decisione, con l’evidente rischio che la sovrapposizione di competenze produca incertezze sia sul piano procedurale, sia su quello sostanziale. Tanto premesso, con le brevi riflessioni proposte nelle seguenti pagine, si intende accennare a quelle che oggi sono le questioni maggiormente problematiche sul versante dei rapporti tra gli organi chiamati a dare tutela ai diritti nello spazio giudiziario europeo… (segue)



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