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NUMERO 19 - 16/10/2019

 Il diritto delle città e il dibattito sull'autonomia differenziata

Autonomia differenziata, regionalismo asimmetrico, regionalismo differenziato: la scelta del termine con cui esordire sottende una valutazione di merito. Il contenuto di questo scritto ci porta a preferire la prima espressione. Qui ci occuperemo di verificare per quali ragioni ed in che termini il dibattito possa riguardare le autonomie locali e, in particolare, le città; indagheremo, cioè, il rapporto tra le competenze oggetto di intese e le funzioni fondamentali degli enti locali. Il tema prescelto è ricco di implicazioni sia per il concetto di autonomia differenziata che verrà, via via, precisandosi, sia per le conseguenze procedurali e organizzative che ne derivano. Il motivo dell’interesse per il ruolo giocato dalle autonomie locali sta nella ormai consolidata concentrazione, a quel livello di governo, delle sfide maggiormente rilevanti della società contemporanea, tra cui: le emergenze sanitarie, abitative ed educative connesse al fenomeno dell’immigrazione; le problematiche relative all’inquinamento e ai cambiamenti climatici; le politiche di consumo del suolo e il rapporto tra istituzioni e comunità. Per esempio, l’analisi delle politiche ambientali ha dimostrato, in maniera lampante, che un approccio internazionale e intergovernativo ‘marco’ - che parta dal livello di governo più alto - non è efficace, perché, nei fatti, non riesce ad essere tramutato in azioni concrete e a coinvolgere in iniziative spontanee e responsabili gli attori sociali. È invece promettente la dimensione locale: il tema della sostenibilità trova nelle città il centro delle sperimentazioni sul benessere comune e sulla coscienza ecologica. Le città hanno acquisito un ruolo centrale ai fini dei parametri dei Sustainable Development Goals e dell’Agenda 2030. Con il supporto della Commissione Europea, si è dato corso al Covenant of Majors per il clima e l’energia, che oggi aggrega quasi diecimila firmatari. Sarebbe fuori contesto, quindi, ragionare delle intese sull’autonomia differenziata senza tenere conto di ciò. Proseguendo nell’esemplificazione, determinare la sorte della tutela dell’ambiente, in intese Stato-Regioni, senza che i governi locali siano profondamente coinvolti apparirebbe paradossale. In altri termini, il fenomeno delle intese potrebbe essere approcciato con maggiore fortuna, se si partisse da un nuovo approccio nelle relazioni istituzionali. In tale ottica, considereremo, nelle riflessioni che seguono, le ripercussioni che le intese sull’autonomia differenziata ex art. 116, comma 3, della Costituzione avranno sulle autonomie locali, per interrogarci sul se e sul come il percorso dell’autonomia e della differenziazione possa offrire strumenti utili per migliorarne l’azione, nella prospettiva dell’efficienza e dell’efficacia della risposta pubblica alle esigenze comuni. Sarebbe irrazionale, da un lato, riconoscere la centralità strategica delle autonomie locali e, dall’altro, non farsi carico di supportare, anche favorendo modelli innovativi di governance, la loro azione. Nelle pagine che seguono svilupperemo il ragionamento in maniera deduttiva, articolandolo come segue: la nostra premessa maggiore è che riconoscere un ruolo alle autonomie locali nel dibattito su autonomia e differenziazione sia imprescindibile per affrontare i temi cruciali della nostra attualità; la premessa minore è che, tra le autonomie locali, le città siano il maggiore punto di forza per dare identità ai territori in attuazione del principio autonomistico affermato dalla Costituzione italiana; la conclusione è che riconoscere un ruolo alle città nel dibattito sull’autonomia differenziata ex art. 116 comma 3 della Costituzione sia essenziale… (segue)



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