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FOCUS - Fonti del diritto N. 3 - 19/10/2015

 Considerazioni critiche sul ruolo del Consiglio di Stato nella più recente attività di semplificazione normativa

Le considerazioni che seguono traggono spunto dai più significativi pareri espressi dal Consiglio di Stato- sez. consultiva per gli atti normativi,  in relazione ad alcuni decreti legislativi adottati nel corso della XVI e della XVII legislatura ed aventi come oggetto, per lo più,  l’attività di riassetto normativo  realizzata mediante l’adozione di  codici di settore e di successivi decreti legislativi integrativi e correttivi di questi ultimi. L’occasione torna utile per svolgere talune considerazioni di più ampio respiro intorno al contributo istituzionale e normativo offerto dal Consiglio di Stato in relazione alle politiche di semplificazione. Non vi è dubbio, infatti,  che da quando la necessità della semplificazione normativa si è imposta nel nostro ordinamento alla stregua di una delle ineludibili priorità del sistema normativo, essa è stata costantemente accompagnata, nelle sue varie ed alterne vicende evolutive, dal ruolo del Consiglio di Stato come, peraltro,  testimoniato dalle previsioni legislative che in tale prospettiva hanno inciso non solo sulle attribuzioni funzionali ma anche sulla disciplina organizzativa dell’organo. Il Consiglio di Stato, peraltro, non solo nasce come organo consultivo nell’ordinamento italiano  ma vanta un’antica  vocazione istituzionale sul terreno della consulenza dei testi normativi atteso che l’art. 16,comma 3, del r.d. n. 1054 del 1924 prescriveva di sentire il consiglio di Stato «sopra tutti i coordinamenti in testi unici di leggi o regolamenti, salvo che non sia diversamente stabilito con legge». A ciò si aggiunga, peraltro, che, in relazione  ala buona qualità  della redazione degli atti normativi l’art. 58 del r.d. n. 444 del 1942 prevedeva la  facoltà in capo al medesimo Consiglio di Stato di segnalare al Governo le ipotesi nelle quali la legislazione vigente risultasse «oscura, imperfetta od incompleta». Anche a prescindere dalla controversa vigenza dell’art. 16, comma 3, del r.d. n. 1054 del 1924, l’obbligo procedimentale di ascoltare il parere del Consiglio di Stato ben poteva radicarsi nell’art. 76 Cost. il quale affida alle singole leggi di delega l’eventuale fissazione di limiti ulteriori all’esercizio del potere legislativo delegato. Più di recente l’art.17, comma 25 lett. a) della legge n. 127 del 1997  ha  riconfigurato la generale  funzione consultiva del Consiglio di Stato sugli atti normativi primari del Governo,  prevedendo che  il  parere  del  Consiglio  di  Stato  è  richiesto  in   via obbligatoria, tra l’altro,  per l'emanazione  degli  atti  normativi  del  Governo  e  dei singoli ministri, ai sensi dell'articolo 17  della  legge  23  agosto 1988, n. 400, nonché per l'emanazione di testi unici. È, dunque, su quest’ultima disposizione legislativa che riposa il fondamento legislativo generale dell’attività consultiva sugli atti del Governo aventi forza di legge  che provvedono, a vario titolo, ad attività di riordino o di riassetto normativo.  Si tratta, in altri termini, di una disposizione legislativa a valenza generale e di sistema che si atteggia quale attuazione del disposto costituzionale di cui all’art. 100, comma 1,  Cost. il quale, come noto, attribuisce al Consiglio di Stato, prima ancora che quella di tutela della giustizia nell’amministrazione, la funzione di organo di consulenza giuridico-amministrativa. La formula “testi unici”, infatti, andrebbe intesa in senso ampio tanto  da ricomprendere sia di quelli innovativi sia di quelli compilativi; detta  formula, ancora,  non andrebbe confusa con i codici di settore, presi in considerazione dall’art. 20 della legge n. 59 del 1997 così come modificato dalla  legge n. 229 del 2003, atteso che anche questi ultimi devono ritenersi ricompresi nel più generale ambito di applicazione dell’art. 17, comma 25, della legge n. 127 del 1997. È su tale decisivo profilo ed in questi esatti termini, peraltro, che si snoda l’interpretazione della stessa Adunanza Generale del  Consiglio di Stato,  resa in occasione del parere n. 2 del 2004 il quale, tra i vari contributi è uno di quelli che vanta  la maggiore pregnanza e la più attenta ricostruzione ordinamentale in tema di semplificazione normativa. Le premesse da  cui parte il ragionamento del citato parere dell’Adunanza generale sono state riprese e sviluppate da parte di attenta dottrina al fine di sostenere l’ammissibilità degli autovincoli legislativi ed il rapporto di necessaria condizionalità che le norme sulla normazione sarebbero in grado di esibire nei confronti delle norme di produzione pariordinate... (segue)



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