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di Ettore Jorio
Il federalismo fiscale esige un eguale punto di partenza. Una prima lettura della proposta Calderoli
Per qualche tempo, la politica è parsa ripensare funditus ratio e mission della riforma del Titolo V della Costituzione, intervenuta nel 2001. Quasi come se dalla lettura dei novellati artt. 116-120 emergesse la volontà del legislatore di revisione costituzionale di differenziare sensibilmente nel paese, piuttosto che uniformarla, la esigibilità dei diritti fondamentali da parte dei cittadini e, con essa, la qualità della loro vita. Insomma, una interpretazione che rappresentava l’esatto contrario delle intenzioni del legislatore del più alto rango.
Dalle meno recenti dichiarazioni di primari esponenti dei partiti politici emergeva, infatti, una lettura disorganica della lettera costituzionale, finalizzata a perseguire, in tema di attuazione dell’art. 119 Cost., i metodi più funzionali per realizzare una sorta di fiscalità di risultato, di tipo quasi etnico, garante della diseguaglianza piuttosto che della concreta esigibilità dei livelli essenziali delle prestazioni, riferiti ai diritti civili e sociali, senza differenze fra i diversi territori del paese. Un modo, questo, per ingigantire sempre di più le differenze e le diversità e, in quanto tale, non finalizzato a realizzare quell’insieme nazionale, preteso dai precetti costituzionali.
A fronte di tali tendenze, individuabili in talune letture “partigiane” della revisione costituzionale del Titolo V, la vigente lettera della Carta garantisce tutt’altro:
- un art. 117, che ripartisce le competenze tra Stato e regioni in modo tale da assicurare uguaglianza nelle prestazioni assistenziali relative ai diritti civili e sociali, valorizzando le regioni quanto al funzionamento delle organizzazioni relative;
- un art. 118, che introduce i principi di sussidiarietà verticale e orizzontale, attribuendo rispettivamente alle istituzioni più prossime ai cittadini un ruolo fondamentale nell’esercizio delle funzioni amministrative e una uguaglianza sostanziale tra pubblico e privato, all’uopo accreditato, nello svolgimento di attività di interesse generale, sì da renderle più direttamente e immediatamente percepibili dalla collettività;
- un art. 119, che istituisce l’autonomia finanziaria di regioni, città metropolitane, province e comuni, nonché il fondo perequativo, senza alcun vincolo di destinazione, per sopperire alle esigenze primarie dei territori con minore capacità fiscale per abitante;
- un art. 120, che assicura, in ogni modo, il corretto e il puntuale esercizio delle funzioni attribuite alle regioni (città metropolitane, province e comuni), in caso di precario rispetto delle norme caratteristiche, nel tutelare l’unità giuridica ed economica, nonché i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, rimessi alla potestas legislativa esclusiva statale, quanto alla loro determinazione.
(segue)
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