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di Roberto Invernizzi
Le integrazioni apportate all’istituto dell’avvalimento dal “terzo correttivo” al Codice dei contratti pubblici
Il d.lgs. 152/2008, c.d. “terzo correttivo” al d.lgs. 163/2006 (“il Codice dei contratti”), assesta ulteriormente la disciplina dell’avvalimento, dopo le limitate modifiche apportatevi dal primo correttivo (d.lgs. 6/2007).
Molla essenziale delle modificazioni più rilevanti sul punto è stata quella dell’intervento della Commissione delle Comunità Europee (“la Commissione”), che proprio all’avvalimento – o meglio alle eccessive restrizioni all’impiego dell’istituto che essa ha ravvisato nella formulazione del Codice dei contratti – ha dedicato un capitolo del parere di censura emesso nei confronti della Repubblica Italiana nel gennaio – febbraio scorso.
È dunque opportuno utilizzare le censure sollevate nel capitolo ora detto quale filo conduttore del discorso, rammentando anzitutto i rilievi sollevativi, per poi verificare quali e quanti di essi abbiano in seguito avuto riscontro nelle modifiche da ultimo sopraggiunte agli artt. 49 e 50 del Codice, e trarre in alcune conclusioni di ordine specifico su queste norme e di ordine generale sulla funzionalità dell’istituto nel nostro ordinamento.
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II. L’intervento della Commissione.
1. In generale: la divergenza culturale.
L’intervento della Commissione si lega coerentemente all’impostazione culturale che, ben prima dell’avvento di diritto comunitario derivato specificamente regolante l’istituto, aveva creato quest’ultimo essenzialmente in via pretoria, con limitati agganci testuali nelle direttive previgenti, ma anche con forti collegamenti con il disegno della creazione di un unico grande mercato concorrenziale sotteso al sistema dei Trattati comunitari.
Proprio il tema dello scontro culturale fra questa originaria spinta comunitaria, che potremmo definire “di buona fede”, verso un allargamento quasi incondizionato delle possibilità di accesso al mercato degli appalti pubblici da parte anche delle imprese di minori dimensioni, che muove le aperture sull’avvalimento, e la contrastante spinta culturale nazionale estremamente guardinga verso l’istituto, viene a fare da sfondo al dialogo odierno sul tema all’esame.
In estrema sintesi, l’immagine è quella di un legislatore comunitario che concepisce (e tratta di conseguenza nei testi che produce) l’avvalimento quale mezzo per agevolare joint venture essenzialmente tese a un più efficiente sfruttamento delle energie tecnico-economiche e imprenditoriali, contrapposto a un legislatore nazionale che teme l’avvalimento quale potenziale strumento di elusione delle norme di seria verifica del possesso dei requisiti di accesso alle gare (e delle capacità di eseguire i contratti eventualmente aggiudicati), anche tramite quella che è percepita come un’artificiosa e magari frazionatissima costruzione (una sorta di mantello di arlecchino) cartacea della gamma dei suddetti requisiti in capo al candidato od offerente che in sé considerato ne sia privo.
(segue)
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