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NUMERO 17 - 28/08/2013

 Il principio personalista e le sue proiezioni

È affermazione corrente quella della “centralità” di posto della persona umana nell’edificio costituzionale rifatto dopo l’esperienza della dittatura fascista e i guasti indicibili della seconda grande guerra. L’intera Carta repubblicana, secondo la comune opinione, costituirebbe un inno alla persona, ai suoi diritti fondamentali, alla sua dignità, una persona salvaguardata – com’è stato felicemente detto – in “lunghezza, larghezza e profondità” (E. Mounier 1955, cui si richiama anche V. Baldini 2007, 58). Così stando le cose, se ne hanno subito alcune prime, rilevanti implicazioni di ordine teorico-ricostruttivo. La prima è che il c.d. “principio personalista” – com’è usualmente chiamato – in realtà non è un “principio” al pari degli altri che pure sono a fondamento dell’ordine repubblicano; semmai, è il principio, come ciò che sta appunto all’inizio e, a un tempo, alla fine del percorso costituzionale che con esso si apre e in esso circolarmente si chiude, perfezionandosi e da se medesimo giustificandosi. Di qui, poi, la conseguenza per cui non v’è, non può esservi una sola norma che in sé racchiuda ed esprima il “principio” in parola; la qual cosa, sarebbe la negazione della sua naturale, incomprimibile attitudine a pervadere l’intero campo costituzionale lasciando in ogni sua parte (e persino nei suoi ambiti più reconditi) il segno marcato della propria vis qualificatoria e prescrittiva. Lo stesso usuale riferimento all’art. 2 della Carta quale luogo espressivo del principio può, dunque, tutt’al più valere a connotare la norma che più e meglio di ogni altra concorre (ma è, appunto, un concorso) a dare l’indicazione del principio ma che certo non è la sola... (segue)



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