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di Guido Guidi
Serve una rinnovata cultura della partecipazione ripensando alla difesa civica
Con la fine delle ideologie e il superamento della concezione magica della politica, lo scontro all’interno degli ordinamenti democratici non avviene più sulle aspettative di grandi eventi, nell’ambito della contrapposizione che, nel secolo scorso, ha visto la radicalizzazione delle appartenenze ideali attorno a due diverse concezioni dello Stato. Le istanze che oggi salgono ai differenti livelli di governo, di ambito locale o nazionale, si collocano su piani diversi, con aspettative apparentemente più povere di esiti rivoluzionari ma, non per questo, meno nobili e più facili da realizzare. Sotto il dominio delle aspettative ideologiche, era radicata la convinzione che i compiti assolti dalla Pubblica Amministrazione avrebbero dovuto essere marginali rispetto ai più nobili esiti escatologici legati alla competizione sulla formula politica. Su questo presupposto era ampiamente diffusa la convinzione che, una volta affermatosi il tipo ideale di Stato, l’equità e l’efficienza dell’agire amministrativo si sarebbero realizzati di per sé, necessariamente, come logica conseguenza dell’affermarsi della formula politica vincente. In questo contesto l’idea prevalente era che il suffragio universale avesse in sè il potere di interpretare l’interesse generale e che il potere che conta si dovesse annoverare soprattutto nei Parlamenti, mentre all’Amministrazione restava solo una funzione servente e subordinata, funzionale alla maggioranza politica. Del resto, anche nella simbologia prevalente, meno visibili e meno percepibili appaiono i simboli della pubblica amministrazione che, dislocata su più livelli territoriali, disarticolata in Italia in venti regioni legislative e in una marea di enti locali e funzionali, sbriciolata sotto il peso della partitocrazia, non è facilmente percepibile quale potere unico ed omogeneo dello Stato... (segue)
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