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FOCUS - Osservatorio Città Metropolitane N. 3 - 17/11/2014

 Tecniche normative e qualità della normazione: il caso della Città metropolitana

Una valutazione, che si propone come testimonianza di un'esperienza soggettiva e del comune sentire: «la legge n. 56 è una grande legge di riforma istituzionale, certamente la più grande legge di innovazione del governo locale dalle leggi Rattazzi del 1859», com'è nell'«ormai diffusa consapevolezza». Non potrebbe essere più efficacemente definito che in queste asserzioni il contesto ideologico in cui è maturata la legge 7 aprile 2014, n. 56: esse consentono di rilevare la percezione di se medesimo e della missione che si sente chiamato a compiere posseduta dal legislatore e di prefigurare la natura dei problemi derivanti dalla qualità del testo e prevedibili per la fase della messa in opera. Ma poiché la dimensione «storica» di tale legge - cioè la sua natura di scansione nel tempo lungo della vicenda delle istituzioni italiane, tempo che travalica la successione tra ordinamenti - potrà essere verificata solo a posteriori, conviene forse una variazione lessicale, capace di evocare un diverso orizzonte concettuale: non «grande legge di riforma», ma «legge di grande riforma», o ancor meglio «legge ad alta valenza riformatrice», locuzione quest'ultima alla quale può attribuirsi un significato tecnico più specifico. Della «legge ad alta valenza riformatrice» è utile dare preliminarmente il concetto, mettendone l'applicazione al riparo dal pericolo di cadute iperboliche: data una coppia o un serie di coppie concettuali oppositive, i cui termini designino politiche alternative, la legge ad alta valenza riformatrice determina il trapasso dall'uno all'altro termine. Essa, dunque, non introduce una innovazione qualsiasi nella disciplina di una materia, ma una innovazione radicale: conforma un nuovo scenario normativo. Non sembra dubbio che la legge n. 56 del 2014 sia ascrivibile al tipo: essa costituisce un nuovo soggetto nell'ordinamento locale, produce l'ulteriore torsione monocratica nell'assetto dei poteri in un nuovo contesto, diffonde meccanismi di investitura indiretta degli organi di governo, rimaneggia il sistema delle fonti con la determinazione di un nuovo livello statutario e con una nuova dislocazione dei poteri normativi. Compie la traslazione sempre verso il primo termine nelle coppie concettuali oppositive: democrazia di investitura/democrazia di operazione; concentrazione/diffusione del potere; assetto monocratico/assetto collegiale nella forma di governo o nell'organizzazione fondamentale dei soggetti di autonomia; efficienza/partecipazione (messe in opposizione piuttosto che ritenute complementari). È forse opportuno rilevare che ascrivere «alta valenza riformatrice» all'intervento legislativo è operazione neutra, non consente in sé un giudizio: benché la capacità innovativa venga ovviamente presentata come un valore dal legislatore storico - più esattamente, dalla parte prevalente dell'organo legiferante - in opposizione al disvalore, a vario titolo, dell'assetto pregresso (e dei suoi autori e difensori), in sede scientifica, nel considerare la qualità della legislazione, non è dato prendere campo. Si può peraltro soggiungere che, nell'esperienza recente, all'alta valenza riformatrice - sia quanto al livello legislativo ordinario sia al livello costituzionale - ha fatto riscontro la bassa qualità formale e la particolare difficoltà nell'attuazione delle «riforme»: anzi quanto più innovativo ha inteso essere l'intervento, tanto maggiore si è rivelata la complessità della messa in opera, e tanto più impegnativo il lavoro di ricognizione dei dati necessari a fondare la scelta legislativa... (segue)

 



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