
Non è certamente necessario ribadire quanto il tema della Città metropolitana sia prepotentemente all’ordine del giorno nell’agenda politica e come il processo riformatore avviato con l’approvazione della legge Delrio segni un passaggio ormai determinante: dopo quasi 25 anni dall’introduzione dell’aggettivo “metropolitana” (prima riferito all’area, poi alla città) nella legislazione italiana senza che si sia assistito alla effettiva istituzione di tale nuovo livello di governo del territorio, oggi si percorre una strada senza ritorno: o il processo istitutivo va in porto e si completa, realizzando effettivamente quella istanza di cambiamento da più parti richiesta, oppure sarà evidente che la strada delle città metropolitane, in Italia, non è percorribile. Questa seconda ipotesi credo sia, tuttavia, da scartare, poiché le evidenze circa la necessità di una governance differenziata per le aree ad alta urbanizzazione, oltre ad essere ormai un dato acquisito nel dibattito istituzionale e dottrinario italiano, sono altresì un dato comune alle realtà degli altri Paesi, europei e non. Superata la “soglia di decantazione” per l’introduzione delle novità nell’ordinamento italiano (la vicenda dell’attuazione delle Regioni insegna…), il momento è ormai maturo e sarebbe irresponsabile non cogliere l’occasione che si pone per migliorare, almeno con riferimento al governo dell’area vasta, l’assetto territoriale del Paese. Ciò premesso – e sgomberato dunque il campo da qualsiasi pregiudizio negativo e da qualsiasi impostazione aprioristicamente e sterilmente scettica – è evidente che la legge Delrio non convince del tutto. Tre le principali questione che meritano, a parer mio, di essere riviste perchè impostate in modo errato... (segue)
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