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NUMERO 22 - 26/11/2014

 Le riforme istituzionali ed economiche del Governo Renzi

Sarebbe giusto ma anche troppo facile fare un’analisi del riordino del nostro sistema istituzionale a partire dalla modifica degli assetti geopolitici internazionali intervenuta esattamente venticinque anni fa, assetti che avevano inciso in modo diretto sul nostro sistema dei partiti e sull’Assemblea Costituente. C’è però chi non attese a formalizzare quei problemi anche prima, cercando di anticipare, spesso invano, possibili soluzioni. Dieci anni prima, esattamente nel novembre 1979, la Lega Democratica di Pietro Scoppola organizzò un convegno ad Arezzo su “La terza fase e le istituzioni”. Per Scoppola, come si legge nel numero di novembre di “Appunti di cultura e di politica”, la crisi della solidarietà nazionale, stretta tra il minimalismo tattico andreottiano dopo la scomparsa di Moro e l’impostazione molto confusa del Pci sul “compromesso storico”, evidenziava il fatto che “tutto il meccanismo istituzionale previsto dalla Costituzione appare inceppato”, col rischio che proseguendo così “l’ultimo capitolo della prima Repubblica italiana sarebbe già iniziato e sarebbe probabilmente un pezzo avanti nel suo svolgimento”. Il numero di dicembre riporta poi le relazioni del convegno e delinea una possibile pars construens tesa a dar corpo a una nuova “cultura dell’intesa”, a un avvicinamento non di potere tra le forze politiche che ricollegandole nell’esperienza comune di Governo superasse la rottura del maggio 1947 e rendesse possibile ciò che, a causa della diffidenza reciproca successiva alla rottura di Governo, mancò nella seconda fase della vita della Costituente, ossia il varo di istituzioni decidenti, coerenti coi princìpi esigenti della Prima Parte della Costituzione, sacrificate per un necessario iper-garantismo reciproco. Così, richiamandosi alla terza fase delineata da Aldo Moro, Roberto Ruffilli che avrebbe poi seguito a dieci anni di distanza Moro nella stessa tragica fine) ricostruisce tale pars construens  (nella relazione su “Il dibattito sulle istituzioni nell’Italia repubblicana”, evidenziando “il problema irrisolto”, quello della “governabilità”, ossia “di una forma di governo dello Stato democratico funzionante ed efficace nel prendere le decisioni, nell’attuarle e nel consentire una verifica delle stesse rispetto ai risultati”, per cui “Il problema è adesso quello di riprendere il lavoro lasciato interrotto alla Costituente per la individuazione di regole comuni del gioco politico democratico”. Non solo però un cambiamento al centro del sistema, ma anche nel rapporto centro-periferia, come delineato dalla relazione di Umberto Pototschnig, secondo il quale anche la seconda legislatura regionale, nonostante i trasferimenti di competenze amministrative sarebbe stata “non particolarmente brillante” a causa della mancanza di “un livello di raccordo” tra tutte le autonomie”. D’altronde già nel 1972 un padre costituente come Mortati aveva definito il Senato, luogo naturale possibile di tale raccordo futuro, al momento “un inutile doppione” e in quello stesso autunno del 1979 il nuovo corso socialista aveva eliminato il tabù del dibattito su riforme costituzionali incisive con un ruolo meritorio della rivista “Mondoperaio” nel supportare efficacemente questo rinnovamento. Significativo anche il dibattito mirato sulle possibili riforme istituzionali esposto ad Arezzo, pur di natura molto più minimalista di quello avanzato dal Psi: dall’insistenza di Andrea Manzella su una revisione dei Regolamenti parlamentari per limitare l’ostruzionismo e i poteri di veto, all’insistenza di Augusto Barbera sulla complementarietà tra il rafforzamento del Governo centrale e quello dei Governi territoriali. Il dibattito però si intreccia con la proposta politica di Scoppola, secondo il quale il modo di risolvere la questione del Governo nella nuova legislatura avrebbe dovuto in qualche modo prefigurare già tali riforme, sia pure a norme invariate. I partiti avrebbero dovuto siglare una tregua limitandosi a indicare un Presidente del Consiglio e lasciando poi a questi il compito di scegliere effettivamente i ministri e di delineare un programma efficace, ritrovando per questa via, come sottolinea Nicolò Lipari, un raccordo diretto tra istituzioni e società e, come indica Beniamino Andreatta, surrogando così capacità di mediazione che i partiti in quel momento non avevano obiettivamente più... (segue)



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