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NUMERO 5 - 11/03/2015

 Ancora in tema di crisi dell’euro. Il caso 'Grecia' e le sue implicazioni sulla moneta unica

La crisi dei debiti sovrani ellenici non si è arrestata e la ripresa economica del Paese sembra complessa e, decisamente, più lenta del previsto; a ciò ha contribuito l'imposizione di una rigida politica di austerity che ha costituito, d'altro canto, lo scotto da pagare per godere dei benefici elargiti dall'Unione. In tale contesto, non sorprendono i recenti risultati delle elezioni greche ove, come è noto, il partito di Tsipras ha ottenuto la maggioranza dei seggi; nondimeno, l'esponente della forza vincente è stato costretto a costituire alleanze con componenti appartenenti a correnti politiche di destra, sì da ottenere il numero di voti sufficienti per assicurare la governabilità. La rigidità del modello indicato dalla Troika ha, dunque, contribuito ad impedire il rilancio dell'economia greca, con effetti che indirettamente si ripercuotono nell'area mediterranea;  per altro verso, il perdurare in molti paesi dell’Unione della fase recessiva innestata dalla crisi finanziaria costituisce terreno fertile per il proliferarsi di sentimenti euroscettici. Significative, al riguardo, sono le disperate condizioni nelle quali il popolo greco è stato (ed è) costretto a vivere; nel dettaglio, gli studi di settore, riportano, nel corso degli ultimi anni, un incremento eccezionale del 40% del tasso di suicidi nel Paese collegati alla spirale di sfiducia provocata dagli eventi di crisi. Inoltre, dal 2008 l'indice di disoccupazione si è triplicato passando dal 7% al 24%; al contempo, si è assistito ad un aumento esponenziale dei casi di depressione, cui è conseguita la crescita della spesa sanitaria. Fattori questi in grado di incidere negativamente sull'efficacia del servizio ospedaliero pubblico che già si presentava in condizioni precarie. Non va sottaciuto, peraltro, che le cause delle difficoltà della Grecia vanno ricondotte all'adozione di scellerate politiche fiscali, non rispettose dei vincoli imposti dal patto di stabilità, nonché (e soprattutto) agli inaccettabili occultamenti circa la reale condizione economica del Paese; da qui, la necessità di far ricorso ad una politica di prestiti bilaterali, con ovvia assunzione dell'obbligo, nei confronti delle istituzioni europee, di rispettare rigidi programmi di risanamento. In tale prospettiva si comprende come le problematicità dello Stato greco non sono imputabili all'imposizione dei restrittivi interventi delineati dall'UE, ma devono essere ascritte alle discutibili modalità di gestione della res publica da parte dei governi ellenici. Nel delineato contesto, va collocato il movimento antiausterità che in detto Stato ha trovato ampio sostegno; sospinto, dapprima, dalle dichiarazioni del proprio leader sulla possibile fuoriuscita dall'UEM della Grecia, e poi, dalle più accorte affermazioni circa la necessità di rinegoziare gli accordi con la Troika. Al riguardo, va fatto presente che la ‘fuoriuscita’ di un paese membro dall'eurozona non sia contemplata dal TUE nel quale al più, ai sensi dell'art. 50, è previsto il caso di fuoriuscita dall'Unione; ipotesi questa subordinata ad un accordo con il Consiglio o, altrimenti, al decorso di ben due anni dalla notifica del recesso. Sicchè, la procedura di exit dalla moneta unica non è regolata, ragion per cui la cessazione di appartenenza all'UE difficilmente, sul piano delle concretezze, può avvenire in breve tempo... (segue)



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