
L’analisi delle prospettive di revisione del Titolo V della Parte II della nostra Costituzione attualmente formalizzate nel testo del d.d.l.cost. n. 1429-B approvato, in sede di prima deliberazione, dalla Camera dei deputati lo scorso 10 marzo 2015 non può fare a meno di muovere da una considerazione onesta e obiettiva dell’oggetto che ci si propone di riformare e, in questa ottica, da un dato difficilmente controvertibile, ossia che il testo costituzionale esitato dalla riforma del 2001, nei suoi obiettivi di fondo e nelle sue peculiari rationes, ha già subìto – a dispetto della sua età ancora relativamente “giovane” – gli effetti di una fortissima spinta “contro-riformatrice”, almeno su due piani distinti: da un lato, quello del quadro normativo positivo specificamente concernente il versante dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali sub-statali, a seguito della legge cost. n. 1 del 2012 e della legge “rinforzata” n. 243 del 2012; dall’altro, quello degli approdi – ormai consolidati in senso spiccatamente centralista – cui è pervenuta la giurisprudenza costituzionale soprattutto nell’ultimo quinquennio. Davanti a questo stato di cose, sarebbero parimenti possibili, in astratto, due approcci diametralmente opposti: il primo, orientato a favorire, quasi “naturalmente”, il completamento e la razionalizzazione della spinta “contro-riformatrice” rispetto al 2001; il secondo, oggi senza dubbio recessivo, volto a confermare e a rilanciare lo spirito e gli ideali di quella riforma per approntare mezzi e strumenti in grado di attuarla pienamente, colmandone le lacune ed eliminandone le aporie – alla luce dell’esperienza fin qui maturata – al fine di renderla finalmente effettiva. Proprio su questa dirimente alternativa mi pare che la progettata riforma costituzionale in itinere faccia registrare, a tutt’oggi, un grande equivoco di fondo... (segue)
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