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FOCUS - La nascita dei governi

 I governi di Massimo D'Alema

L’esperienza a palazzo Chigi di Massimo D’Alema prende il via in un contesto politico complesso. All’interno e all’esterno, la politica italiana è travagliata da fattori che ne determinano rapide evoluzioni. È interessante ripercorrere quei momenti per evidenziare almeno tre aspetti, fra gli altri, utili anche ad un’analisi della realtà contemporanea: lo scenario politico-partitico tra i due secoli e l’azione politico-istituzionale dei partiti; il peso dei vincoli esterni nella crisi; e infine il ruolo e l’esercizio dei poteri del presidente della Repubblica.

Nel 1998 i partiti hanno già affrontato la prima fase di trasformazione successiva al terremoto del 1992. Si deve tenere presente che la legge elettorale relata da Sergio Mattarella nel 1993, architetta un sistema misto a forte tendenza maggioritaria. Questo dato è essenziale per osservare la funzione del presidente della Repubblica rispetto alle diverse crisi di governo che si succedono nell’arco della XIII Legislatura (dal 9 maggio 1996 al 29 maggio 2001). Con tale meccanismo elettorale, infatti, si introduce in Italia un forte elemento di discontinuità maggioritaria che avrebbe dovuto spingere verso la preferenza di governi a “maggioranza non variabile”, dato l’incremento di legittimazione politica delle coalizioni e del loro capo; anche se non ancora nei termini di cui alla legge n. 270 del 21 dicembre 2005, c.d. porcellum. Come si vedrà più avanti, questa novità modificherà il peso delle consultazioni nel procedimento di formazione del governo. In questo contesto, l’esperienza di D’Alema è emblematica, avendo egli formato il primo governo sotto la presidenza Scalfaro ed il secondo sotto quella di Ciampi, i quali aggiungono alla consolidata funzione del presidente la propria originale interpretazione del ruolo di capo dello Stato. Oscar Luigi Scalfaro è presidente della Repubblica dal 28 maggio 1992 e il suo mandato è in via di scadenza (terminerà il 15 maggio 1999). D’Alema sarà il sesto presidente del Consiglio da lui nominato, il terzo in seguito ad una crisi di governo. La funzione di Scalfaro in questa crisi sarà meglio analizzata nel prosieguo dell’indagine. Nel 1998 il Partito comunista italiano (Pci) ha esaurito il primo bozzolo: il Partito democratico della sinistra (Pds) infatti si è trasformato in Democratici di sinistra (Ds) proprio il 13 febbraio 1998, riconoscendo anche formalmente la leadership di Massimo D’Alema, eletto segretario. Negli “Stati generali della sinistra” si compie il passo tanto auspicato in particolare dai Cristiano sociali: la nuova esperienza partitica infatti si definisce come sintesi di aree culturali diverse da quelle ex comuniste. Il timbro sul certificato di nascita del nuovo partito della nuova sinistra è il nuovo simbolo: una quercia senza più falce e martello. È essenziale per comprendere la progressione tra il governo Prodi e quello di D’Alema soffermarsi sul travaglio interno al Pds-Ds. Sono individuabili due posizioni tra i Ds: da una parte Veltroni, postcomunista ma ulivista convinto, crede nella possibilità di formare un partito di sinistra che sintetizzi le posizioni di cattolici ed ex comunisti; dall’altra D’Alema, che sembra preferire la nascita, con i Ds, di un partito socialdemocratico europeo, in cui includere gli ex socialisti accorsi nel Polo di Berlusconi. Il progetto di D’Alema incontra la tiepidezza degli ex dirigenti del vecchio Psi, Amato e Ruffolo ad esempio, che percepivano l’antisocialismo (o più propriamente anticraxismo) diffuso nel Pds. Comunque la tensione tra i due leader si manifesta già nel 1994, quando D’Alema e Veltroni sono contrapposti nella successione ad Occhetto. Nel novembre 1996, comunque, la linea di Veltroni, anche se risultato di una necessaria mediazione con D’Alema, sembra prevalere. La dialettica tra le due posizioni culminerà il 14 ottobre 2007 con la vittoria della linea veltroniana, nella fusione tra Ds e gli eredi del Ppi (trasformatosi il 24 marzo 2002 nel partito Democrazia è libertà, Dl, meglio conosciuto come la Margherita) nel nuovo partito a vocazione sempre più maggioritaria, il Partito democratico (Pd). L’ispirazione socialdemocratica sarà recuperata il 27 febbraio 2014, quando il Pd vota con 121 favorevoli, 2 astenuti e Fioroni contrario, l’ingresso nel gruppo europeo Partito socialista europeo (Pse) dopo la prima esperienza di un gruppo federato al Pse. In ogni caso D’Alema stesso rivendica l’appartenenza, come membro fondatore, del primo Pds al Pse: “L’Ulivo si configurava come una coalizione di forze comprendenti partiti ma anche movimenti della società civile, questo era fin dall’inizio. Non credo fosse messo in discussione da nessuno. Tra questi partiti noi eravamo quello che eravamo: eravamo membri dell’Internazionale socialista; non è una cosa che è successa adesso con Renzi, eravamo membri fondatori del Partito socialista europeo. Quindi eravamo a tutti gli effetti una forza del socialismo europeo. Anche se allo stesso tempo partecipi dell’esperienza dell’Ulivo”. Dall’altra parte dell’emiciclo parlamentare, la leadership di Berlusconi è solida. La coalizione parlamentare Polo per le libertà (erede delle due coalizioni elettorali, Polo della libertà e Polo del buon governo, con cui nel 1994 esordisce in politica la maggioranza parlamentare che sostiene Berlusconi per pochi mesi al governo, e nel 1996 ripropone lo schieramento) salda gli alleati Forza Italia, Alleanza nazionale, Centro cristiano democratico e Cristiano democratici uniti, i quali ultimi, tuttavia, avranno un’esperienza parlamentare travagliata e determinante nella crisi del governo Prodi I e per la nascita del governo di D’Alema I. Si segnala inoltre che nel 1998 nascono due partiti proprio in vista e in conseguenza della crisi del primo governo Prodi. Da una parte l’Unione democratica per la Repubblica (Udr), diventa ufficialmente partito politico il 9 giugno 1998: Francesco Cossiga presidente onorario, Buttiglione e Scognamiglio co-presidenti, Clemente Mastella segretario. Dall’altra un nuovo partito comunista. Nel momento più cruciale per il governo, quando deve approvare la legge finanziaria, Rifondazione comunista, guidata da Fausto Bertinotti, decide di revocare l’appoggio esterno al governo. Questa determinazione comporta un profondo dibattito all’interno del partito con la conseguente scissione dei favorevoli alla prosecuzione dell’esperienza di governo. Armando Cossutta insieme con Oliviero Diliberto, fonda seduta stante il Partito dei comunisti italiani, il quale parteciperà alle consultazioni esprimendo il suo favore ad un governo di centro-sinistra anche guidato da Prodi. Altro dato da segnalare è che dal 5 febbraio del 1997 al 9 giugno 1998, Massimo D’Alema presiede la Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (c.d. III bicamerale). Nel 1998 D’Alema e Berlusconi trovano un’occasione di convergenza proprio nell’ambito della bicamerale, non solo per il processo di revisione costituzionale: entrambi possono interpretare un ruolo che li legittima anche su un piano non esclusivamente partitico, in attesa del decorso del governo Prodi, preparandosi così a superarlo da una prospettiva forse più conveniente in termini politico-istituzionali. Nel senso che entrambi possono esercitare un ruolo istituzionale tale da renderli più rappresentabili innanzi all’opinione pubblica anche come uomini delle istituzioni. D’Alema sulla Bicamerale precisa che “fu istituita perché era uno dei punti del programma dell’Ulivo. Nel programma si diceva: «se noi governeremo l’Italia, la riforma costituzionale cercheremo di farla insieme ai nostri avversari attraverso una commissione parlamentare bicamerale»”. Sulla conclusione dei lavori sottolinea che la bicamerale completò il suo percorso approvando a “larghissima maggioranza” un “progetto di riforma condiviso”; “al di là delle attese, concluse i suoi lavori in modo positivo”. “Berlusconi fece un discorso commovente”, tuttavia la rottura “si determinò successivamente e per ragioni che rimangono tutte da capire, da interpretare. Perché Berlusconi successivamente cambiò posizione sostanzialmente, e si presentò in Parlamento quando passammo, dopo l’esame in commissione all’esame nell’Aula di Montecitorio (…), lui cambiò posizione, denunciò l’accordo dicendo che loro si sarebbero schierati contro e iniziarono così un vero e proprio boicottaggio. Al punto che questo fece, come dire, perdere il senso dell’operazione, che era quello di una riforma condivisa, diventò un motivo di conflittualità”. È importante sottolineare questo passaggio; secondo la ricostruzione di D’Alema le riforme avevano senso, per il Paese, se condotte con l’opposizione in uno spirito di unità nazionale, per il governo e per la maggioranza parlamentare, come catalizzatore dei conflitti politici, un parafulmine per evitare pressioni nel momento di approvazione europea della moneta unica. Il governo di Prodi, nel frattempo, soffre le difficoltà del contesto e i limiti della maggioranza parlamentare che lo sostiene. Prodi governa con decisione le questioni cruciali del 1998, in particolare la moneta unica europea, ma non riesce a tenere coesa una maggioranza piuttosto eterogenea. Bisogna tenere in considerazione che il quadro parlamentare della XIII Legislatura è soggetto a diverse trasformazioni, a cui non si può non accennare, seppure brevemente. L’Ulivo, la coalizione elettorale con cui Prodi guadagna la nomina in seguito alle elezioni del 1996, si radica a tal punto da quasi istituzionalizzarsi in ciò che i giornali chiamano “il partito del premier”. Infatti, secondo alcuni commentatori “Marini era molto preoccupato per l’eventuale nascita di un partito dell’Ulivo, che alle prossime Europee avrebbe potuto mettere in difficoltà il Ppi prima ancora che la Quercia”. Prodi effettivamente beneficia di un sostegno che non è una mera somma parlamentare dei fattori che compongono la coalizione (Partito popolare italiano e Democratici di sinistra in primis), ma è capace di dimostrare tenuta di fronte alle strategie delle diverse forze al suo interno. I timori di Marini si realizzeranno in effetti alle elezioni europee del 13 giugno 1999: Prodi è l’ispiratore della lista “I democratici” che ottiene oltre 1 milione di voti in più rispetto al Partito popolare italiano. Chiaramente non è questa la sede per riproporre una accurata analisi dei fatti e delle ragioni che consentono la formazione stessa dell’Ulivo; ma è essenziale comprendere che la tensione già descritta, all’interno del Pds, è riproposta similmente nel 1995 quando l’Ulivo sta nascendo per le successive elezioni del 1996. Secondo alcune ricostruzioni, quando in un ristorante romano si incontrano Prodi e D’Alema per concordare i tratti dell’Ulivo, lo schema di Prodi è di un Ulivo costruito su due gambe per costituire una alleanza del centro e della sinistra (area ulivista in senso proprio da una parte e Pds dall’altra) in un centrosinistra (senza trattino); lo schema di D’Alema è invece un contenitore elettorale che raggruppi i partiti e che costituisca un unico fronte di centro-sinistra (con il trattino) in cui le reciproche identità sono chiare e non si confondono. Il professore accetta e D’Alema gli affida Veltroni in rappresentanza del Pds. Ammettendo che le elezioni del 1996 sono in quel momento un’incognita, e che data la sconfitta del 1994 una vittoria dei “progressisti” non è scontata, si potrebbe ritenere che costruire un’operazione come l’Ulivo in prospettiva dalemiana e imbarcarvi Prodi e Veltroni insieme, avrebbe potuto anche comportare come loro destinazione finale un binario morto. Le elezioni sono vinte nel 1996 e Veltroni avrà un ruolo significativo nel governo Prodi, con una importante prospettiva di crescita politica (vicepresidente unico del Consiglio, ministro per i Beni culturali e ambientali). Ultimo dato di contesto da segnalare è la forte oscillazione dei Gruppi parlamentari alla Camera dei deputati, dalla cui analisi si potrebbe dedurre la forte instabilità politica, ma anche il notevole peso delle manovre parlamentari sulla crisi e sulla formazione del governo. Peso che la retorica di quegli anni vorrebbe superato da un presunto spirito maggioritario della legge elettorale. A questo punto è possibile interpretare come si arriva alla crisi di governo. Di seguito, brevemente, gli eventi importanti per comprendere la crisi e i suoi sviluppi. Il governo Prodi è sostenuto dalla maggioranza parlamentare composta sostanzialmente da l’Ulivo e Rifondazione comunista, uniti nel “patto di desistenza”. Prima della crisi di governo, in due occasioni di politica estera, cioè la costituzione della missione italiana in Albania e la ratifica dell’allargamento della Nato, Rifondazione vota contro il governo. Il governo riesce a varare i due rilevanti provvedimenti, perché la maggioranza beneficia dei voti determinanti del gruppo di Cossiga. In occasione del voto sulla finanziaria, Prodi decide di porre la fiducia. Sul punto è rilevante l’opinione di Massimo D’Alema: “La decisione di chiedere la fiducia fu una decisione assolutamente avventurosa perché non c’era nessuna certezza di avere una maggioranza e di ottenere la fiducia del Parlamento. Senza dubbio in quel momento l’unica prospettiva per ottenere la fiducia del Parlamento era quella di completare l’operazione, ripeto, peraltro ampiamente avviata e non da me, perché si era avviata durante il governo Prodi, di allargamento della maggioranza al gruppo di Cossiga”. Cossiga in effetti aveva già sostenuto il governo Prodi nelle occasioni ricordate. Ma al momento del voto di fiducia dichiara di convincersi a votare a favore solo se il presidente del Consiglio avesse chiesto esplicitamente il suo sostegno. Il 9 ottobre 1998, giorno del voto sulla questione di fiducia, dopo il discorso del presidente del Consiglio e dopo il dibattito seguente, il presidente della Camera, irritualmente, chiede a Prodi se ha qualcosa da aggiungere. Secondo D’Alema quel passaggio è il frutto delle sue pressioni su Violante, per dare modo a Prodi di concretizzare la richiesta avanzata da Cossiga. A questo punto il governo pone la fiducia e cade il 9 ottobre 1998, per la prima volta nella storia repubblicana, con un margine di un voto: la fiducia è negata con 313 voti contro 312. Quale sia la causa della caduta quindi non è di agile individuazione: il travaglio politico interno alla maggioranza, e quindi a monte alla politica estera del governo, ovvero la decisione di non allargare la maggioranza a quella di fatto costituitasi con i “salvataggi” di Cossiga. Ma la ragione del superamento della crisi con esito D’Alema può essere trovata nei vincoli esterni al sistema politico nazionale, cioè, in questo caso, nel contesto geopolitico euro-atlantico in prossimità del conflitto balcanico... (segue)



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