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NUMERO 1 - 13/01/2016

 La (auto) riforma in senso territoriale della seconda Camera

La riforma della seconda Camera insiste sul noto paradosso delle riforme costituzionali o dell’“auto-riforma” che, quale variazione del più ampio “paradosso dell’onnipotenza”, è stato riferito sia alla revisione costituzionale, sia ai processi di riforma degli organi titolari del potere decisionale. Rispetto alle procedure di revisione costituzionale, il paradosso dell’auto-riforma si crea quando una norma (costituzionale) è utilizzata come fonte di legittimazione del proprio cambiamento. In rapporto agli organi, invece, ci si domanda come un potere “sovrano” possa definitivamente limitare se stesso. Questo paradosso del “riformatore riformato” contribuisce a spiegare perché gli organi titolari del potere decisionale difficilmente siano inclini a riformare interamente se stessi. Tale paradosso appare tanto più accentuato quando, rispetto alla polivalenza del sistema bicamerale, il dibattito sulle riforme è inteso a sostituire in seno alla Camera alta la rappresentanza politica con una rappresentanza di tipo territoriale. Da un lato, infatti, questa ipotesi di rimodulazione del bicameralismo offre una possibile chiave di lettura al problema strutturale del ruolo e dell'identità della seconda Camera in una moderna democrazia parlamentare. Dall'altro lato, tuttavia, l'(auto) riforma del Senato determina un significativo ridimensionamento della rappresentanza politica, a favore di una rappresentanza di tipo territoriale potenzialmente scollegata dal momento elettorale, e quindi più difficilmente “controllabile” attraverso i tradizionali circuiti partitici. Il problema, che in Italia al momento sta occupando una posizione preminente nel dibattito politico, mostra una specifica rilevanza anche sul piano del diritto costituzionale. La trasformazione di una Camera politica in un’assemblea territoriale costituisce un’esperienza pressoché sconosciuta al diritto comparato, se riferita al processo interno di trasformazione di un ordinamento costituito, non già in fase “costituente”. Sia i processi federativi per aggregazione (che, fisiologicamente, nascono con la creazione di istituzioni comuni al livello centrale, tra cui una seconda Camera rappresentativa degli Stati membri), sia le esperienze degli Stati federali nati secondo percorsi di disaggregazione (nei quali la riforma del Senato avviene di regola al momento della revisione in chiave federale della forma di Stato) vedono infatti la “nascita” di una seconda Camera territoriale nella fase (formalmente o materialmente) “costituente” della transizione ad un ordinamento di tipo federale. Tale rilievo sconta, ovviamente, alcune eccezioni; l'esperienza canadese, ad esempio, conferma che quando il Senato federale è estraneo al patto federativo costituente, il paradosso delle riforme ne rende vischiosa una successiva revisione. Per queste ragioni, la riforma in senso territoriale del Senato sembra interessare soprattutto l'evoluzione delle forme di stato regionali, ed in particolare i regionalismi a più elevato decentramento. Lo conferma il rilievo che il tema ha assunto in ordinamenti come l'Italia e la Spagna, dove persiste una forte tensione nei confronti della riforma del Senato, o nello stesso Regno Unito, dove in modo ciclico si è riproposta l'idea della rappresentanza delle “Regioni e Nazioni” in seno alla House of Lords. In Italia, in particolare, il tema si è affermato come uno dei punti qualificanti dell’agenda di governo all’inizio del mandato del Governo Renzi dopo la presentazione alle Camere, l’8 aprile 2014, di un disegno di legge costituzionale, di iniziativa governativa, recante “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione”. Come si avrà modo di specificare, obiettivo primario dell'iniziativa è la trasformazione del Senato in un’Assemblea territoriale, rappresentativa delle Regioni e degli Enti locali. Prendendo spunto dal dibattito italiano sulla riforma della seconda Camera, si intende in questa sede riflettere non tanto sulla necessarietà o meno di un Senato federale per l’armonico funzionamento di un ordinamento ad elevato decentramento, quanto piuttosto sull’origine di una tale istituzione, ed in particolare sulla possibilità di una sua costituzione a posteriori (per derivazione da una Camera politica già esistente). In particolare, si ritiene necessario soffermare l'attenzione sulle condizioni, procedurali e sostanziali, che consentono se non di risolvere almeno di attenuare il paradosso dell'(auto) riforma in senso territoriale della seconda Camera. In questa chiave di lettura, avendo riguardo innanzitutto al caso italiano, ma utilizzando argomentazioni ed elementi tratti dall'analisi comparata, saranno presi in esame due ambiti di riflessione: uno di carattere procedurale, legato al rapporto sussistente tra la riforma del bicameralismo e la revisione della forma di Stato, o comunque del sistema di rapporti e del riparto di attribuzioni tra il centro e la periferia; uno di carattere funzionale, finalizzato ad esaminare le condizioni che consentono di veicolare la trasformazione del ruolo della seconda Camera affiancando l’estromissione dal circuito fiduciario con il riconoscimento di un ruolo di garanzia rispetto alle diverse componenti territoriali dello Stato... (segue)



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