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NUMERO 7 - 06/04/2016

 Riforme e referendum: un metodo che unisce

Da decenni in Italia si discute di riforme costituzionali. Nel 1982 venne istituita una Commissione bicamerale presieduta dal deputato liberale Aldo Bozzi; poi fu la volta della Commissione De Mita - Iotti, nominata nel 1992 e che ha presentato alle Camere un progetto di revisione nel gennaio del 1994; infine è toccato alla Commissione bicamerale presieduta da D’Alema nel 1997 tentare di riformare la Carta del ’48. Poi si sono susseguiti altri tentativi: nel 2001 fu approvata, quasi come una costola della Commissione D'Alema, la legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha profondamente modificato - insieme alla precedente legge Cost. 1 del 1999 - il Titolo V della vigente Costituzione; l’ultimo e più corposo tentativo è giunto fino al referendum confermativo che si è celebrato, con esito negativo, nel 2006. Quella di oggi, dunque, è una riforma che si inscrive in una linea già marcata e, anche se qualcuno vuole mettere in collegamento questa discussione e questi tentativi con iniziative di ben altro segno, si tratta - all'evidenza - di una discussione seria, che ha di volta in volta coinvolto tutto lo schieramento politico e tutto il mondo intellettuale. In questa legislatura, subito dopo l'elezione dell'attuale Parlamento, fu istituita una Commissione di esperti, nominata dal Presidente del Consiglio Enrico Letta, i cui lavori - pur con qualche attacco dei media e della politica - si sono conclusi con la presentazione di una relazione nel settembre 2013 (i lavori sono pubblicati nel volume a cura della Presidenza del Consiglio, Per una democrazia migliore, Roma, 2013). Caduto il Governo Letta, dimessosi il 14 febbraio 2014, il nuovo esecutivo, entrato in carica il 22 febbraio, il 31 marzo 2014 presentava al Senato un testo che, dopo ampio ed approfondito dibattito, il 12 aprile il Parlamento approverà definitivamente, con la maggioranza assoluta richiesta dall'art. 138 della Costituzione. Non essendo stata raggiunta la prescritta maggioranza dei due terzi, la legge verrà pubblicata in Gazzetta Ufficiale a soli fini notiziali. In questa situazione, sempre ai sensi dell'art. 138, nei tre mesi successivi può essere richiesto da un quinto dei parlamentari di ciascuna Camera, da cinquecentomila elettori, da cinque Consigli regionali un referendum costituzionale; siccome è altamente probabile che ciò avvenga, è possibile che tale referendum si tenga già nell'autunno 2016. Di fronte a questo scenario politico-istituzionale, quasi 200 docenti universitari hanno firmato un documento comune sulle riforme costituzionali e il futuro referendum. Si tratta di studiosi di materie diverse - in larga misura costituzionalisti, ma anche comparativisti, amministrativisti, internazionalisti, comunitaristi, privatisti, penalisti, politologi, storici, economisti -, di età diverse, di collocazioni professionali diverse, naturalmente anche di opinioni politiche e di orientamenti culturali diversi. Vi sono tuttavia - fra tutte queste diversità - alcune cose importanti che li accomunano e che hanno loro permesso di sottoscrivere insieme il testo appena ricordato. Vorrei allora provare ad evidenziare quali potrebbero essere questi punti comuni. In primo luogo, si può ritenere condivisa la valutazione che questa riforma, pur con i suoi errori e le imperfezioni, esistenti in questo come in qualsiasi altro testo normativo, non costituisce - come pur viene vigorosamente sostenuto - un attentato alla democrazia o una rottura della vigente Costituzione: solo partendo da questo comune presupposto, infatti, è possibile discutere nel merito di un così ampio intervento di revisione. Altrimenti, per chi dovesse condividere un simile drastico e definitivo giudizio negativo, non sarebbe nemmeno possibile un confronto sui contenuti: il diritto di resistenza potrebbe e dovrebbe essere invocato per opporsi a riforme che violano i principi fondamentali della democrazia costituzionale repubblicana. In realtà, rispetto a simili giudizi, molti sono anche gli interventi critici che, con una logica totalmente opposta, mirano a sottolineare la scarsa incidenza della riforma sulla forma di governo, cosicché l'esecutivo rimarrebbe privo di strumenti di razionalizzazione e di rafforzamento. La valutazione complessiva del contenuto della riforma verterà dunque sulla bontà delle concrete soluzioni adottate e, eventualmente, sulla natura, qualità e quantità degli errori e delle imperfezioni e sulla possibilità, o meno, di correggerli in sede di attuazione e di interpretazione; ferma rimanendo la possibilità della Corte costituzionale di sindacare eventuali disposizioni della revisione costituzionale contrarie ai principi fondamentali della Costituzione vigente (così come rimane ferma, anzi è esplicitamente prevista, la possibilità della Corte di sindacare la legge elettorale). Di una discussione nel merito farà parte anche il tema - delicato, ma spesso sollevato ad arte - della scelta di una sola legge costituzionale per riformare diverse disposizioni e parti della Costituzione vigente, ovvero della necessità di procedere con leggi costituzionali separate, eventualmente da sottoporre a diversi referendum (sul tema si è già svolto sulle pagine di questa Rivista un primo dibattito, che ha visto prendere posizione A. Morrone, P. Costanzo, A. Ruggeri e S. Staiano)... (segue)



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