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Dopo la riforma costituzionale del 2001 la dottrina si interrogò sulla natura del regionalismo italiano e in particolare si chiese se gli elementi collaborativi piuttosto che competitivi avessero preso il sopravvento rispetto all’originario disegno determinato dall’Assemblea costituente e lentamente attuatosi nel corso degli anni. Parallelamente allora si propose anche la discussione di quanto quel “nuovo” regionalismo fosse centrato sull’autonomia legislativa piuttosto che su quella organizzativa e amministrativa. Anche quest’ultimo era un tema non nuovo tra gli studiosi che in molteplici occasioni, anche a Costituzione originaria, hanno evidenziato da un lato l’“amministrativizzazione” delle Regioni, dall’altro la crescente e più generale incidenza di elementi che porterebbe la governance (sia europea che nazionale) verso modelli di Vollzugsföderalismus. Il dibattito, che investe da un lato l’assetto relazionale centro-periferia e dall’altro la qualità dell’autonomia regionale, sembra destinato a riaprirsi con la riforma del 2016; in questa sede non intendiamo affrontare questo profilo di riflessione nella misura in cui pretenderebbe una preventiva (e difficoltosa) definizione dei modelli dottrinari dei sistemi autonomistici (duale, competitivo, collaborativo, cooperativo, di esecuzione, integrato…) oltre che una completa disamina delle competenze regionali; proveremo invece ad individuare quali elementi sembrerebbero portare il sistema verso dinamiche maggiormente “integrative” tra lo Stato e le Regioni che, nonostante la conservazione della potestà legislativa, prefigurano un modello nel quale l’indirizzo politico regionale sembra meno libero di contrastare con quello statale e sempre più da esso condizionato. Semplificando, con la legge di revisione del 2016, gli elementi “collaborativi” sembrano accentuarsi in questa nuova “pagina bianca” del regionalismo italiano che è forse “meno bianca” delle precedenti. Dalla lettura delle norme, per quel che riguarda le innovazioni che saranno sottoposte a referendum, emerge un quadro complessivo del disegno autonomistico sempre più lontano dall’autonomia politica di tipo oppositivo e dialettico tipica dei legislatori diversi dallo Stato nei sistemi “duali” e sempre più vicino all’autonomia collaborativa e integrata (a forte raffigurazione amministrativa) con caratteri addirittura in certi casi simili (dal punto di vista sostanziale) all’autonomia del sistema degli enti locali, a prescindere dalla conservazione, in capo alle Regioni, della potestà legislativa. Proviamo ad esaminare, da questo punto di vista, cinque indizi contenuti nel testo di riforma costituzionale che potrebbero suffragare una lettura di questo tipo dell’autonomia regionale dopo la riforma... (segue)
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