Il riscontro di uno stato di crisi o di precarie condizioni economiche delle imprese può assumere rilevanza al momento della quantificazione della sanzione antitrust e operare come fattore di mitigazione dell’ammenda stessa. Le precarie condizioni economiche dell’impresa coinvolta nei procedimenti antitrust possono ricondursi a diversi scenari di crisi economica. In prima approssimazione è possibile distinguere il caso di: i) crisi economica generale; ii) crisi di settore; iii) crisi della singola impresa, considerando, in quest’ultima ipotesi, se la crisi sia già tanto grave da giustificare l’attivazione di procedure liquidatorie. L’intervento antitrust assume di norma connotazioni differenti a seconda dello specifico stato di crisi, cosicché più grave e diffuso è lo stato crisi, maggiore sarà il peso delle decisioni “politiche” condizionanti l’enforcement antitrust. In tal senso, la reazione a una crisi economica sistemica è in gran parte determinata dalla opzione, appunto politica, in favore di un allentamento o addirittura una deroga ai divieti antitrust oppure, in senso opposto, in favore della permanenza (pur con alcuni correttivi) di un controllo antitrust pieno ed effettivo. Al riguardo, l’esperienza storica maturata in Europa, Stati Uniti e Giappone evidenzia un percorso evolutivo comune, che vede prevalere, nel secolo scorso, la prima delle due opzioni, ma che registra, soprattutto nel contesto dell’ultima rilevante crisi economica, una significativa inversione di tendenza, in favore della permanenza di un efficace enforcement antitrust. Tale scelta sembra esprimere la convinzione, probabilmente supportata anche dalla stessa esperienza storica, che la sospensione delle norme antitrust non necessariamente faciliti il superamento delle crisi; essa, al contrario, potrebbe accentuarne gli effetti di medio-lungo termine, soprattutto per via del rallentamento del processo innovativo. La scelta dell’uno o dell’altro approccio condiziona direttamente l’enforcement antitrust, tanto con riferimento al giudizio di gravità o addirittura di liceità della condotta (nel caso di sospensione o di allentamento dei divieti antitrust), quanto con riguardo alla quantificazione della eventuale sanzione (che potrebbe essere ridotta in ragione, appunto, dello stato di crisi economica generale). Come si osserverà nei paragrafi seguenti, il favor espresso dalla Commissione per un controllo antitrust efficace anche in contesti di crisi generalizzata ha trovato riscontro nella prassi applicativa nazionale ed europea, nella quale nessuna riduzione della sanzione è stata giustificata in ragione della mera esistenza di un contesto di crisi; al contrario, le riduzioni di sanzione, pure accordate in considerazione dello stato di crisi, hanno sempre trovato giustificazione nelle precarie condizioni economiche della specifica impresa destinataria dell’ammenda stessa. Quanto alla valutazione in concreto dello stato di crisi, tale elemento potrebbe emergere nella fase procedimentale di valutazione della rilevanza antitrust della condotta, nella forma, per esempio, di fattore di temperamento del giudizio di gravità della condotta stessa (considerata per l’appunto meno grave perché realizzata in un contesto di crisi). Un approccio di questo tipo risulterebbe, per esempio, funzionale ad allentare i divieti antitrust in tempo di crisi. Egualmente, è in tale fase che trova spazio, per esempio, la cd. failing company defence, che può supportare l’autorizzazione di operazioni altrimenti giudicate restrittive della concorrenza. Per altro verso, l’esistenza di uno stato di “crisi” o le “precarie condizioni economiche” delle imprese possono assumere rilevanza nella fase procedimentale di quantificazione della sanzione e, quindi, a valle dell’accertamento dell’esistenza e della gravità dell’infrazione. In tal caso, lo stato di crisi è adottato come fattore di mitigazione della sanzione. È questo secondo scenario a costituire oggetto di indagine nei paragrafi che seguono... (segue)
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