Da quando nel 1959, il Presidente della Camera dei Deputati, on. Giovanni Leone, “per il tramite del Segretario generale, dott. Piermani, fece (…) conoscere di non ritenere possibile rilasciare copia dei processi verbali delle sedute delle Commissioni o della Camera, trattandosi di atti interni, precisando pure che i resoconti stenografici (…) avevano carattere informativo ma non ufficiale”, il regime della pubblicità dei lavori e degli atti parlamentari è oggi parzialmente cambiato. In altri termini, la conoscibilità del facere delle Assemblee legislative e le modalità con cui a tale principio si dà attuazione, non solo rappresentano dei fattori cardine di ogni Parlamento democratico, ma incidono sia sulle caratteristiche degli stessi procedimenti decisionali, che si svolgono all’interno delle Camere rappresentative, sia sullo stesso rapporto intercorrente tra il Parlamento e la società; vale a dire, tra la democrazia rappresentativa e quella partecipativa. La vicenda della conoscibilità dei lavori parlamentari segna, quindi, il processo di trasformazione di un’Assemblea di ceti in un Parlamento moderno, oltre che, al contempo, il nascere del giornalismo politico e il formarsi di quella che noi oggi definiamo opinione pubblica; sono proprio i giornali settecenteschi, in effetti, a rompere la segretezza delle sedute e a costruire la dialettica maggioranza-opposizione. Nel più antico dei Parlamenti europei ad esempio, quello inglese, a lungo l’attività camerale fu segreta, al fine di garantire un pieno svolgimento della libertà di parola dei singoli membri, quale forma di tutela nei confronti del sovrano, il quale avrebbe certamente potuto perseguire delle opinioni a lui sgradite. Tuttavia, tale divieto, che nel corso degli anni si trasformò in tolleranza, venne meno, per via giudiziaria, a fine secolo, quando l’House of Commons affidò la pubblicazione dei suoi lavori ad un editore privato, con il cui nome, Hansard, sono ancora chiamati i resoconti inglesi. Occorre precisare, inoltre, che questo principio di conoscibilità del lavorio assembleare, nel tempo, oltrepassò i confini insulari britannici e venne affermato non solo nell’art.1, sez.5, par.3 della Costituzione statunitenseo nella Carta rivoluzionaria francese del 1791, ma anche all’interno dell’art.52 dello Statuto Albertino. In particolare, nel parlamento statutario la resocontazione stenografica fu dapprima affidata alla Gazzetta piemontese, seppure con risultati poco soddisfacenti, al punto che, nel giro di pochi anni, le Camere decisero di apprestare un autonomo servizio di resocontazione. Più nello specifico, secondo quanto disposto dalla Costituzione “octroyée” del 1848, il principio in base al quale “le sedute delle Camere sono pubbliche”, era facilmente derogabile, in quanto, su richiesta di dieci parlamentari, le due assemblee legislative avrebbero potuto deliberare in segreto; eccezione procedurale, tuttavia, all’epoca poco usata, basti pensare, ad esempio, alle sedute in comitato segreto della Camera dei deputati del giugno-dicembre 1917, nelle quali fu esaminata la condotta della guerra, oppure, alle discussioni relative alle singole persone, al fine di tutelare la loro onorabilità, oltre che, al contempo, nel caso di elezioni e nomine, a tutela delle persone interessate da polemiche o valutazioni di carattere politico. Inoltre, anche in Assemblea Costituente fu rilevata l’essenzialità della pubblicità, concernente il funzionamento dei due rami del neo Parlamento repubblicano, laddove, infatti, lo stesso art. 1 Cost. esclude, in via generale, che gli organi attraverso i quali il popolo esercita la sovranità possano agire al di fuori di questo regime della piena trasparenza e conoscibilità, dal momento che la democrazia altro non è che il Governo del potere pubblico in pubblico e, quindi, “la rappresentanza può svolgersi solo nella sfera della pubblicità (…). Un Parlamento ha carattere rappresentativo solo finché si crede che la sua vera e propria attività abbia luogo nella pubblicità”. “Per i Parlamenti, dunque, (…) – questa- non può non essere la regola, pena lo slittamento in un cono d’ombra, alla periferia del sistema istituzionale, dal momento che per essi, (…) la rappresentatività non è solo un attributo, ma un carattere strutturale”... (segue)
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