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NUMERO 22 - 16/11/2016

 I 'golden powers' nei settori strategici dell'economia

La recente emanazione del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, in una fase di rinnovata spinta verso la privatizzazione di imprese sistemiche, giustifica una indagine sul ruolo attualmente svolto dallo Stato nei settori economici strategici. Trattandosi di una tematica complessa, la presente analisi si concentra su una delle molteplici vicende evolutive che hanno segnato, negli ultimi anni, il passaggio dallo Stato imprenditore allo Stato moderno. Ci si riferisce, segnatamente, alla progressiva metamorfosi che ha connotato i poteri speciali di cui il Governo è titolare nei confronti delle imprese strategiche. Le esigenze di protezione degli interessi vitali dello Stato in ambito economico hanno giustificato – sin dalle prime forme di privatizzazione degli anni novanta del ‘900 – l’attribuzione al Governo di poteri di intervento sugli assetti partecipativi e sulla gestione delle società strategiche sottoposte ai processi sopra menzionati (cc.dd. “poteri speciali” o “golden share”). La specialità di tali prerogative si desumeva dalla configurabilità di un sostanziale scollamento tra ambito del potere d’intervento e partecipazione dello Stato al capitale sociale delle imprese strategiche. In altri termini, la golden share originaria attribuiva allo Stato poteri di influenza sulle imprese strategiche (ancorché privatizzate) sproporzionati rispetto al rischio economico eventualmente assunto nella vicenda specifica. Tale circostanza – peraltro ricorrente anche in altri ordinamenti europei – ha sollevato le critiche della Corte di Giustizia UE. Va segnalato, peraltro, che le censure formulate da quest’ultima hanno determinato un progressivo depotenziamento dell’influenza pubblica sulle società strategiche privatizzate, con riguardo sia all’estensione dei poteri speciali del Governo, sia ai relativi presupposti di attivazione. Si è in presenza di rilievi che muovono dalla asserita idoneità dei poteri speciali statali a limitare gli investimenti all’interno dell’Unione; e ciò in violazione dei princìpi relativi alla libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali, stabiliti dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. A fronte di tali indicazioni, il legislatore italiano ha emanato il d.l. 15 marzo 2012, n. 21, con cui ha sensibilmente ridisegnato la regolazione sui poteri speciali dello Stato: si è realizzato un nuovo assetto disciplinare della materia significativamente diverso da quello precedente... (segue)



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