La teoria discorsiva del diritto e della democrazia che Habermas espone in Fatti e norme raccoglie in un sistema organico una riflessione partita, molti anni prima, dalla critica al concetto weberiano di razionalità formale del diritto. In Weber la razionalità del diritto riposa sulle sue proprietà formali (certezza, coerenza e sistematicità dell’universo normativo, astrattezza e universalità della norma, formalizzata e calcolabile applicazione della legge in sede amministrativa e giudiziaria). La credenza nella legalità dell’ordinamento, fondata su un’idea di ragione autonoma, moralmente neutra, intrinseca alla forma del diritto, è fonte di legittimazione del potere esercitato in forme legali : il potere è razionale (e dunque legittimo) in quanto legale. Weber pone così le basi filosofiche di una concezione positivista del diritto che può rendersi del tutto indipendente da contenuti morali dati a priori o da una legittimazionedi tipo tradizionale o carismatico : è diritto ciò che il legislatore statuisce come tale secondo forme e procedure giuridicamente istituzionalizzate. I contenuti morali vivono in una sfera separata e l’aggettivazione con cui Weber li qualifica (materiali), vale a stilizzare il contrasto con una razionalità giuridica meramente formale. Habermas assiste all’avverarsi della profezia weberiana che il diritto si sarebbe deformalizzato incorporando istanze di giustizia materiale e, “moralizzandosi” avrebbe irrimediabilmente perso la propria interna razionalità. Le tre proprietà formali sulle quali Weber fondava la razionalità del diritto - certezza, universalità semantica e sistematicità - conoscono in effetti un rapido e irreversibile declino. Il carattere universale e astratto della legge è sovente incompatibile con la differenziazione resa necessaria dalle politiche redistributive dello stato sociale e la certezza giuridica, concetto chiave del positivismo giuridico, non alieno da una dose di idealizzazione, si problematizza, non è più fine, ma diventa principio da confrontare caso per caso con principi diversi, commisurandosi con essi in conflitti decisi «a partire “dal punto di vista morale”, cioè saggiando la disponibilità dei singoli interessi in conflitto a essere universalizzati». La stessa natura formale della legge è messa in discussione : l’universalità semantica dell’enunciato normativo, che in una organizzazione economica mercantile era funzionale al perseguimento di interessi privati, con la programmazione degli interventi legislativi a fini di benessere tipica dello Stato sociale non può più essere fonte di legittimazione del potere politico se si sgancia da presupposti morali. Anche la terza proprietà formale del diritto indicata da Weber, l’elaborazione intellettuale di un corpus normativo autointeso come sistema, non spiega come la legalità possa generare legittimazione. L’approfondimento scientifico e dottrinale può contribuire a rendere più intelligibile il sistema, può arricchirlo e strutturarlo razionalmente, ma non lo può giustificare come «complessivamente plausibile» (è necessario a tal fine il ricorso a principi esterni al sistema). Il tentativo di fondare una legittimità sulla legalità in base alle proprietà formali del diritto - questa la diagnosi di Habermas - fallisce per la sottovalutazione weberiana dei contenuti morali intrinseci nel diritto. Weber, dice Habermas, «non ha preso sul serio il formalismo etico» e, considerando i valori come contenuti non razionalizzabili, dunque “materiali”, ha posto le premesse per renderli incompatibili con i caratteri puramente formali del diritto... (segue)
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